La violenza durante il parto, inclusa la violenza psicologica, è un argomento di discussione nell’intervista dell’ostetrica.

Era una giornata come tante, una di quelle in cui il sole sembra brillare con una tenue malinconia, quando mi trovai a riflettere sull’invisibile violenza che molte donne subiscono durante il parto. Non parlo soltanto di gesti fisici, di mani che premono troppo forte o strumenti che vengono usati senza necessità, ma di qualcosa di più sottile e subdolo, che si insinua nei pensieri e nei cuori delle donne.

La violenza ostetrica non è solo una questione di corpo, ma anche di dignità e libertà. Spesso le donne si trovano impreparate di fronte a pratiche non autorizzate, a decisioni prese senza il loro consenso, a una mancanza di informazioni chiare e complete. Sentono di non avere voce, di non poter scegliere, di essere sole di fronte a un sistema che sembra imporre la sua volontà con una freddezza clinica.

Ma la vita non dovrebbe essere così, la vita dovrebbe essere un’ininterrotta danza di scelte e di consapevolezza. Dovremmo poter sentire il nostro corpo come un tempio sacro, non come un terreno di scontro in cui i medici combattono contro la natura. Dovremmo poter guardare il parto come un momento di forza e di bellezza, non come un’arena in cui ci sentiamo vulnerabili e indifese.

Le donne hanno il diritto di essere informate, di essere ascoltate, di essere rispettate. Eppure, troppo spesso questo non avviene. Troppo spesso si dà per scontato che certe pratiche siano normali, che certe decisioni siano prese per il loro bene, senza considerare il loro punto di vista, le loro sensazioni, i loro desideri.

E così mi chiedo, come possiamo combattere questa violenza invisibile, questa sottilissima rete che imprigiona le donne nel momento più delicato della loro vita? Forse l’unica risposta è l’informazione, la consapevolezza, il coraggio di chiedere e di pretendere di essere trattate con rispetto e compassione. Forse la vita, in fondo, è una lunga battaglia per affermare la propria dignità, un percorso che richiede costante vigilanza e impegno.

E allora, che ogni donna possa trovare la forza di alzare la voce, di chiedere chiarezza e rispetto, di non accettare compromessi sulla propria salute e sul proprio benessere. Che possa imparare a riconoscere la violenza anche là dove si nasconde dietro sorrisi rassicuranti e parole gentili. Che possa trovare la forza di essere protagonista della propria vita, in ogni momento e in ogni circostanza.

Qual è la definizione di violenza ostetrica?

Nel vasto panorama delle ingiustizie che affliggono l’umanità, la violenza ostetrica occupa un posto di rilievo, poiché si tratta di un abuso perpetrato nel momento più delicato e vulnerabile della vita di una donna: il parto. Così come i protagonisti dei romanzi di Calvino si trovano ad affrontare ostacoli e situazioni straordinarie, così le donne si trovano ad affrontare una realtà in cui la loro dignità e i loro diritti vengono spesso calpestati.

LEGGI ANCHE:  Il bambino vomita il paracetamolo: quale dovrebbe essere la nostra prossima mossa?

La violenza ostetrica non è soltanto una questione clinica, ma coinvolge direttamente la sfera dell’umano, dei rapporti di potere, delle relazioni interpersonali. Si tratta di un tema complesso, che va al di là della mera pratica medica, e che rimanda a dinamiche più profonde e radicate nella società. La donna, nel momento in cui dà alla luce una nuova vita, dovrebbe essere circondata da rispetto, gentilezza e attenzioni, invece troppo spesso si trova di fronte a comportamenti inaccettabili da parte di coloro che dovrebbero essere suoi alleati nella lotta per la salute e il benessere.

Parlando di violenza ostetrica, non possiamo non prendere in considerazione il contesto sociale, culturale e politico in cui essa si inserisce. Le disuguaglianze di genere, le discriminazioni e le disparità economiche giocano un ruolo significativo nel determinare chi ha accesso a cure di qualità e chi invece si trova esposto a situazioni di abuso e di mancanza di rispetto.

Ancora una volta, come spesso accade nelle opere di Calvino, ci troviamo di fronte a un tema ricco di sfaccettature, che ci invita a riflettere non solo sul singolo episodio di violenza, ma anche sulle dinamiche più ampie che ne favoriscono la persistenza. La lotta contro la violenza ostetrica, come la lotta di tanti personaggi calviniani, è un percorso tortuoso e complicato, ma indispensabile per costruire un mondo in cui ogni donna possa vivere il momento del parto con dignità e rispetto.

Quali comportamenti da parte degli operatori sanitari durante il parto possono essere considerati come violenza ostetrica?

Nel vasto repertorio delle violenze del nostro tempo, c’è un fenomeno poco conosciuto ma diffuso, che avviene in spazi considerati sacri come le sale parto: la violenza ostetrica. Si tratta di un insieme di pratiche non autorizzate e non necessarie, quali l’episiotomia, la manovra di Kristeller, i massaggi uterini, la Negazione dell’analgesia epidurale e altre, che vengono inflitte alle donne nel momento più delicato e significativo della loro vita.

Queste pratiche, troppe spesso, vengono eseguite senza il dovuto consenso, sfruttando la supposta “ignoranza buona” delle mamme, che forse non sono sufficientemente preparate a quelle che potrebbero essere le circostanze del parto o si trovano sole, senza il supporto e la tutela necessaria.

È un destino paradossale quello delle donne, costrette a confrontarsi con un’esperienza tanto intima e vitale come il parto in un contesto spesso ostile e disumanizzante, in cui il corpo può essere trattato come una macchina da riparare o un oggetto su cui esercitare la propria autorità.

LEGGI ANCHE:  Impugnato l'atto di nascita delle due gemelline di 3 mesi, che sono figlie di due mamme: la famiglia non si arrende

Ma la violenza ostetrica è solo la punta visibile di un iceberg più ampio, che riguarda la condizione delle donne nella società. È un promemoria dell’ineguaglianza di potere e rappresenta la negazione della capacità delle donne di prendere decisioni consapevoli e autonome sul proprio corpo e sulla propria maternità.

È dunque necessario prendere coscienza di questo problema e agire: promuovere una cultura della nascita che metta al centro la salute e il benessere della donna e del bambino, valorizzando la loro dignità e la loro autonomia. Un corso di accompagnamento alla nascita potrebbe rappresentare un primo passo importante in questa direzione, fornendo alle mamme le informazioni e il sostegno di cui hanno bisogno per vivere la nascita come un’esperienza consapevole e rispettosa.

La violenza ostetrica può manifestarsi anche a livello psicologico!

La violenza ostetrica è come un labirinto invisibile che le mamme devono percorrere, un labirinto fatto di giudizi, pressioni e mancanza di sostegno. È un labirinto che non si vede, ma che si sente nelle ossa, nelle lacrime, nei sospiri di quelle donne che si sentono sole di fronte alla sfida della maternità.

Nel labirinto della violenza ostetrica, le linee guida della maternità diventano spesso catene invalicabili, costringendo le mamme a seguire un percorso rigido e intransigente. La pressione per allattare al seno esclusivamente e la demonizzazione di chi sceglie una diversa strada diventano fitte boscaglie da attraversare, ostacoli che mettono a dura prova la forza e la determinazione delle mamme.

E poi c’è il dolore, quel dolore che viene minimizzato e negato, che diventa un’arena in cui la mamma deve dimostrare la propria resistenza e la propria capacità di sopportazione. Ma perché trasformare la sofferenza in una misura della maternità? Perché costringere le mamme a dimostrare quanto possono sopportare anziché offrire loro il supporto di cui hanno bisogno?

In questo labirinto, la mamma si trova spesso sola, senza guida, senza sostegno. È costretta a confrontarsi con il proprio senso di incapacità, mentre intorno a lei si alzano voci di critica e derisione. La mancanza di supporto diventa un labirinto ancora più intricato, una selva di dubbi e incertezze in cui la mamma si sente smarrita e indifesa.

Eppure, nonostante tutte le sfide e le difficoltà, le mamme trovano la forza di attraversare il labirinto della violenza ostetrica. Trovano la forza di alzare la voce, di chiedere supporto, di rompere il silenzio che avvolge questa esperienza così intima e così universale.

Così, anche nel labirinto più oscuro, la luce della solidarietà e della comprensione riesce a filtra. Le mamme si tendono la mano, si raccontano le proprie storie, si sostengono a vicenda nel cammino verso una maternità consapevole e libera da catene invisibili.

LEGGI ANCHE:  I nonni possono assumere la responsabilità legale del nipote anche se i genitori sono vivi, ma non possono prendersene fisicamente cura

E mentre il labirinto si fa sempre più chiaro, le mamme scoprono che la violenza ostetrica può essere sconfitta, che le ferite possono essere lenite e che la vita, con tutte le sue sfumature e complessità, può sbocciare in tutta la sua bellezza.

Quali sono le azioni che una mamma può compiere?

In molti casi la vergogna, il timore e la paura impediscono alle mamme di denunciare la violenza ostetrica di cui sono vittime. Questi sentimenti le imprigionano in un silenzio colpevole, impedendo loro di difendere i propri diritti e la propria dignità.

La vita è fatta di incontri, talvolta dolorosi e ingiusti, che lasciano segni profondi nell’animo umano. La violenza ostetrica è uno di quegli incontri, un’esperienza che dovrebbe essere sublime e piacevole, ma che diventa invece un’aggressione all’intimità e all’autonomia della donna.

Le istituzioni, come il Tribunale del Malato e l’ASL, possono essere un sostegno per le mamme che decidono di denunciare tali comportamenti. Eppure, spesso la strada per ottenere giustizia sembra in salita, disseminata di ostacoli burocratici e psicologici. È importante che le mamme si sentano accompagnate e sostenute in questo percorso, perché nessuna donna dovrebbe essere costretta a subire violenza durante il momento più delicato e significativo della propria vita.

La vita, spesso, ci mette di fronte a prove che ci spingono oltre i nostri limiti, ci costringono a confrontarci con la fragilità e con l’ingiustizia del mondo. Ma è proprio in questi momenti che è fondamentale trovare la forza di alzare la voce, di lottare per la propria dignità e per un trattamento rispettoso e umano. Lottare per i propri diritti è un dovere, non solo nei confronti di se stessi, ma anche nei confronti delle generazioni future, affinché la violenza ostetrica diventi solo un triste ricordo del passato.