Mariano Gallo, la famosa partecipante di Drag Race Italia, condivide la sua esperienza e la sua riflessione con Wamily: “Priscilla mi ha aiutato a scoprire i miei limiti. Il legame con la mia famiglia è la ragione principale per cui scelgo di rimanere in Italia”

Mariano Gallo, la famosa partecipante di Drag Race Italia, condivide la sua esperienza e la sua

Nel corso della conversazione, Priscilla si è soffermata sul tema del bullismo, sottolineando l’importanza del rispetto insegnato fin da bambini. La sua storia si intreccia con quella di tanti ragazzi che hanno vissuto esperienze simili, lottando per accettare se stessi in un mondo che spesso si dimostra ostile e insensibile.

La sua metamorfosi da adolescente tormentato a celebre drag queen racconta una storia di coraggio e resilienza, di lotta per l’accettazione e la libertà di essere se stessi. Il percorso di Priscilla è come una trama tessuta con fili di sofferenza e di speranza, di ostacoli e di vittorie, che riflette la complessità della vita umana.

Le relazioni familiari, in particolare con la madre, assumono un ruolo centrale nel racconto di Priscilla. Una madre che all’inizio non ha saputo accettare la verità, ma che con il tempo ha imparato a comprendere e a sostenere il figlio. Questo percorso di accettazione e riconciliazione rappresenta un importante tema della vita, un viaggio emotivo che molte famiglie affrontano in modi diversi.

Infine, il desiderio di Priscilla di costruire una famiglia propria e di avere un figlio mette in luce la normalità di questi desideri, dimostrando che l’amore e la volontà di creare legami affettivi vanno oltre ogni etichetta sociale. La sua visione di futuro è una prospettiva di amore e speranza, che si scontra con le difficoltà della realtà, ma che rappresenta la costante ricerca di significato e felicità che accomuna tutti noi.

Quale tipo di esperienza hai avuto durante la tua infanzia?

Ma quando ha visto che ero felice, che stavo costruendo qualcosa di mio, si è tranquillizzata.

Ero un bambino alla continua ricerca del consenso, desideroso di essere ammirato e accettato dagli altri. La mia mente era sempre proiettata verso il traguardo della perfezione, desideroso di essere il migliore, l’apice nella classifica delle prestazioni scolastiche, un modello di ordine e disciplina a casa. La mia sete di consenso era insaziabile, ma più cercavo di ottenerlo, più sembrava sfuggirmi tra le dita.

Le maestre, durante i colloqui con i miei genitori, mi definivano un bambino “sensibile e artistico”, parole che oggi interpretarei come una delicata e velata allusione al mio presunto orientamento sessuale. La mia sensibilità, i modi raffinati e la voce acuta non rientravano nei canoni tradizionalmente accettati per un maschio, rendendomi oggetto di scherno e persecuzione da parte dei miei coetanei.

Il bullismo, purtroppo, è un riflesso della società in cui viviamo, una società che spesso promuove stereotipi e pregiudizi. I bambini, ancora in fase di formazione e con una naturale propensione all’imitazione, possono essere portati a ripetere parole e atteggiamenti discriminatori che hanno udito in famiglia o in altri contesti. La cattiveria infantile, seppur spesso inconsapevole, può avere effetti devastanti sulle vittime, lasciando cicatrici profonde che si porteranno dietro per tutta la vita.

Eppure, nonostante le sofferenze subite, conservo un’immagine nitida della mia infanzia, fatta di colori vividi e momenti di gioia autentica. Ogni individuo, nella sua unicità e complessità, porta con sé un bagaglio di esperienze e sentimenti che plasmano la sua esistenza in maniera irripetibile. La diversità, lontana dall’essere un difetto, è ciò che arricchisce il tessuto della società, conferendo ad ogni individuo un ruolo essenziale nel grande mosaico della vita.

Ti ricordi un episodio specifico di bullismo che ti è rimasto impresso?

Le battaglie per la libertà hanno mille volti e mille sfumature, e la mia scelta di

Durante l’ora di educazione fisica, preferivo astenermi dal gioco del calcio, che suscitava in me un senso di competizione che non mi apparteneva. Le dinamiche di rivalità e di vittoria che animavano i miei compagni di classe non riuscivano a coinvolgermi. Preferivo trascorrere il tempo con le ragazze, lontano dai conflitti e dalle gerarchie di potere tipiche del gioco maschile. Questa mia diversità, però, mi rendeva oggetto di derisione e di scherno da parte degli altri ragazzi, che non capivano il motivo della mia estraneità al gioco.

Era però al termine della giornata scolastica che arrivava il momento più difficile. Appena uscivo dalla scuola e mi dirigeva verso casa, un gruppo di coetanei mi attendeva dietro l’angolo per molestarmi. A quel punto iniziavano calci e spintoni, e io, senza alcun mezzo per isolarmi, dovevo sopportare il confronto fisico con rassegnazione. Non avevo a disposizione le cuffiette per ascoltare la musica e rifugiarmi in un mondo interiore, quindi ogni incontro mi coinvolgeva in modo totale. Rientrare a casa diventava una vera e propria fatica, provavo una profonda rabbia, ma più verso me stesso che verso coloro che mi picchiavano. La mia incapacità di reagire, la mia mancanza di ribellione, rappresentavano una ferita nella mia percezione di me stesso, un motivo di auto-provocato sconforto.

Quando ancora non avevo le risorse per proteggermi, provavo l’impossibilità di difendermi e il senso di colpa per non riuscire a farlo. Oggigiorno, dopo aver preso consapevolezza della mia forza interiore, so che bisogna imparare a difendersi e a far valere i propri diritti per vivere in modo dignitoso.

Erano i tuoi genitori al corrente di ciò?

Nella sala di danza, ero libero di essere me stesso, senza paura di essere giudicato.

Era un segreto che avevo custodito gelosamente, come una preziosa gemma nascosta nel profondo del mio cuore. La danza era per me un mondo incantato, un’oasi di libertà dove potevo esprimere la mia vera natura, lontano dalle aspettative e dai giudizi degli altri.

La reazione di mia madre fu inaspettata: anziché arrabbiarsi per il mio segreto, si commosse per la mia passione e decise di darmi una possibilità. Così, dopo aver fatto qualche sacrificio economico, mi iscrisse alla scuola di danza. Fu un momento di svolta nella mia vita: finalmente potevo abbandonare la maschera del figlio perfetto e mostrare al mondo chi ero veramente.

La danza divenne il centro della mia esistenza, un’arte che mi permetteva di esprimere emozioni e pensieri altrimenti inesprimibili. Ogni passo, ogni movimento era un’affermazione di libertà, un atto di ribellione contro le convenzioni e le aspettative della società. Nella sala di danza, ero libero di essere me stesso, senza paura di essere giudicato.

Ma anche fuori dalla scuola di danza, la mia vita cambiò: divenni più consapevole delle mie passioni e meno preoccupato per quello che gli altri pensavano di me. La danza non era più solo una disciplina, ma un modo di vivere, un’attitudine verso la vita.

E così, giorno dopo giorno, passo dopo passo, imparai a danzare anche fuori dalla sala, nella danza della vita stessa. Scoprii che la vera libertà non sta nell’assenza di regole, ma nel saperle trasformare in un’armonia personale, nel trovare il proprio ritmo e seguirlo con fiducia, nonostante le difficoltà e le critiche.

La danza mi insegnò che la vita è una coreografia imprevedibile, fatta di leggerezza e gravità, di equilibri precari e cadute rovinose. Ma anche nelle situazioni più difficili, la danza mi diede la forza di alzarmi e continuare a ballare, a cercare la bellezza nascosta anche nell’apparenza più grigia.

Così, grazie alla danza, imparai a essere protagonista della mia vita, a non temere le cadute e a cercare la bellezza in ogni movimento, anche nei momenti di silenzio e solitudine. E mi resi conto che, come un danzatore sul palcoscenico della vita, ognuno di noi può trasformare la propria esistenza in un’opera d’arte, un’espressione unica di sé stessi.

Qual’era la composizione della tua famiglia?

Napoli, con i suoi vicoli intrisi di storia e di profumi, ha plasmato il mio essere sin dalla più tenera età. La mia famiglia, con le sue abitudini e i suoi silenzi carichi di significato, mi ha insegnato l’importanza dei legami e delle relazioni umane. Mio padre, figura silenziosa e ombrosa, era l’emblema dell’assenza, la presenza che non si fa sentire ma che si fa comunque sentire, come un’ombra che si allunga sul pavimento.

Il suo lavoro al porto lo divorava, lo assorbiva completamente, e io crescevo nel timore di non riuscire mai a conoscerlo davvero. Le domeniche, rare occasioni di condivisione familiare, diventavano momenti di imbarazzo e di silenzi impenetrabili. Eppure, la sua assenza non era completa. Attraverso mia madre, lui si interessava a me, si preoccupava per me, ma forse io non riuscivo a vederlo, a coglierne l’amore dietro alla sua maschera di distanza.

Le ribellioni adolescenziali, il dire “ti odio” come una frase di sfida e di rabbia, mi hanno portato a scoprire la verità. L’ho capito solo tardi, forse troppo tardi, quando ho compreso che l’assenza di mio padre non era una mancanza di amore, ma una maniera diversa di dimostrarlo. E la svolta è arrivata quando ho avuto il coraggio di rivelare la mia vera natura, il mio essere diverso. È stato allora che ho riscoperto mio padre, che ho visto il suo sguardo colmo di accettazione e di affetto, un’affermazione silenziosa ma potente della sua paternità.

LEGGI ANCHE:  Dobbiamo ammettere che ascoltare i nostri figli esercitarsi a leggere ad alta voce è davvero noioso e noioso

La vita, a volte, ci mostra le sue sfumature più intense proprio nei momenti inaspettati, nei gesti silenziosi e nei sguardi pieni di significato. Essa ci insegna che l’amore può manifestarsi in modi inaspettati, che la comprensione può sbocciare anche in terreni aridi, che l’assenza può essere colmata da gesti semplici ma profondi. E così, tra le strade di Napoli e i silenzi di una famiglia “molto famiglia”, ho imparato che le verità più importanti spesso si celano dietro le apparenze più sfuggenti.

Qual è stata la reazione di tuo padre di fronte al tuo coming out?

Quella frase, “io lo sapevo”, è stata come un verme che si è insinuato nella mia mente e ha scavato un solco profondo, un solco che è diventato una voragine di dubbi e incertezze. È come se mio padre avesse avuto accesso a una conoscenza segreta, a una verità celata, e io fossi stato l’ultimo a saperlo.

Eppure, in quei suoi avvertimenti, sentivo anche una forma di protezione. Come se volesse armarmi con la consapevolezza delle insidie che avrei dovuto affrontare, come se volesse prepararmi al mondo che mi aspettava là fuori. Era come se la sua gelosia fosse una dimostrazione di affetto, una prova del suo timore di perdermi, di vedermi ferito dal giudizio altrui.

La sua presenza come bodyguard durante le mie esibizioni a Napoli era il suo modo di dirmi che avrebbe sempre difeso la mia libertà di essere me stesso, non importa quanto difficile potesse diventare.

E ora, riflettendo su quei momenti, mi rendo conto che la vita è fatta di relazioni complesse, di gesti che possono sembrare soffocanti ma che nascondono un amore profondo. La vita è fatta di parole non dette, ma incise nei gesti e nei silenzi di chi ci circonda. E anche se a volte possiamo sentirci soli, c’è sempre qualcuno che, in silenzio, sta lì a proteggerci.

Hai raccontato che tua madre invece è svenuta improvvisamente durante la serata.

La verità è che le relazioni umane sono complesse e spesso ci troviamo ad affrontare situazioni inaspettate che ci mettono di fronte alle nostre paure e pregiudizi. Come nel caso di Mariano, la reazione della madre rappresenta il timore dell’ignoto e la paura di non sapere come affrontare una realtà diversa da quella conosciuta. È interessante notare come, nonostante la difficoltà iniziale, Mariano abbia scelto di affrontare la situazione in modo costruttivo, cercando di comprendere il punto di vista della madre e aiutarla a superare le sue paure.

Questo episodio ci porta a riflettere sulla natura umana e sulla capacità di adattamento di fronte alle sfide della vita. Spesso siamo chiamati a confrontarci con realtà che non comprendiamo completamente, ma è proprio in quei momenti che abbiamo l’opportunità di crescere e imparare qualcosa di nuovo su di noi stessi e sugli altri.

In fondo, come scriveva Calvino, “la vita non è fatta solo di successi o di fallimenti, ma consiste soprattutto nel saper affrontare le sfide e nel trovare significato anche nelle situazioni più difficili”. E Mariano ha saputo trovare significato nella sua sfida personale, trasformando un momento di crisi in un’opportunità di crescita e comprensione reciproca.

Qual è stato il processo o gli eventi che hanno portato al vostro ricongiungimento?

Iniziò tutto in maniera lenta e quasi impercettibile, con gesti e parole che sembravano non avere alcuna importanza. Chiamate per chiedere ricette, richieste di piccoli favori domestici. Ma pian piano, tra una chiacchiera e l’altra, qualcosa cominciò a cambiare. Lei, inizialmente restia e riservata, si ammorbidì, si aprì. È straordinario come il semplice scambio di informazioni pratiche possa trasformarsi in qualcosa di più profondo, in un momento di intimità e comprensione reciproca.

È interessante osservare come, di fronte alla rivelazione della propria identità, i genitori possano reagire in modi così diversi. Le aspettative, le paure, il bisogno di vedere i propri figli realizzare i sogni che loro stessi hanno coltivato. E poi la paura che il figlio possa rimanere solo, essere vittima di discriminazioni, di violenza. È un terreno delicato, su cui camminare con cautela, dove l’amore e la paura si intrecciano in modo intricato.

Mia madre, ad esempio, ha avuto bisogno di tempo per accettare e comprendere appieno la mia vita. Ma quando ha visto che ero felice, che stavo costruendo qualcosa di mio, si è tranquillizzata. È stato un processo lungo e delicato, fatto di piccoli gesti e grandi parole non dette. Ma alla fine, siamo riusciti a ritrovare un equilibrio, una nuova forma di intimità e comprensione reciproca.

È straordinario come la sofferenza possa essere trasformata in forza e determinazione. La paura di perdere mia madre, di vederla allontanarsi, ha innescato in me un istinto di sopravvivenza, una ricerca costante del dialogo e della comprensione. E così, tra cuciture e chiacchiere notturne in cucina, siamo riusciti a superare le barriere, a costruire un nuovo rapporto, diverso ma profondo e autentico.

La vita è fatta di queste piccole trasformazioni, di incontri e scontri, di momenti di debolezza e di forza. E alla fine, è proprio nella capacità di accogliere la sofferenza e trasformarla in qualcosa di costruttivo che troviamo la chiave per andare avanti, per costruire nuove forme di amore e comprensione.

Il coming out ha contribuito a migliorare la tua vita?

La mia vita ha preso una piega inaspettata, come un sentiero che improvvisamente si biforca in direzioni diverse. L’onestà è sempre stata per me un valore fondamentale, ma finché ho vissuto nella menzogna ho dovuto negare a me stesso quel principio. Come un equilibrista che cerca di camminare su un filo sospeso, ho dovuto mascherare la verità, nascondere i miei veri sentimenti di fronte al mondo.

Quella rivelazione è stata per me un momento di liberazione, come se avessi finalmente gettato via un peso troppo grande da sopportare. Ma la paura di essere giudicato, di essere emarginato, mi aveva tenuto prigioniero della mia stessa paura per troppo tempo. E ora, finalmente libero, potevo essere sincero con me stesso e con gli altri.

La confessione è stata come aprire le valvole di un serbatoio sovrappieno, lasciando che le emozioni, a lungo trattenute, fluire incontenibili. Ma la sincerità ha il potere di creare connessioni più autentiche con gli altri, di instaurare legami veri e profondi. E così ho scoperto che, anche in mezzo alle paure e alle incertezze, c’è spazio per l’amore e per la comprensione.

Ma la mia storia non è solo una confessione personale. È una riflessione su quanto sia difficile, talvolta, rivelare la nostra vera essenza al mondo. È un invito a guardare oltre le apparenze, a sfidare le convenzioni e ad abbracciare la diversità con coraggio e apertura d’animo. Perché solo quando ci permettiamo di essere veramente noi stessi possiamo sperare di trovare la vera felicità.

Come ti sentiresti se andassi indietro nel tempo e ti chiedessi se avevi mai immaginato, durante la tua infanzia, di diventare la persona e il professionista che sei oggi?

La storia della mia vita si intreccia con le sfide e le discriminazioni che ho dovuto affrontare come omosessuale. Tuttavia, guardando indietro, riesco a vedere come queste difficoltà siano diventate parte della mia forza e consapevolezza attuale.

Nella vita di ognuno di noi, le fondamenta su cui si costruisce la nostra personalità e il nostro carattere sono cruciali. La famiglia è il luogo in cui queste fondamenta prendono forma, e per me non è stato diverso. Il sostegno e l’amore dei miei genitori sono stati determinanti nel farmi sentire sicuro di me stesso e nel darmi la forza per affrontare le sfide che la vita mi ha presentato.

LEGGI ANCHE:  Semplici idee creative per creare biglietti di Natale fai da te insieme ai bambini

La struttura familiare, quando è solida e coesa, ha il potere di prepararci al meglio per affrontare le difficoltà esterne. Saper di poter contare sul sostegno incondizionato della propria famiglia è un privilegio che non tutti hanno, e ne sono profondamente grato.

La nostra famiglia non è stata immune alle difficoltà e ai conflitti, ma siamo sempre stati in grado di trovare un terreno comune su cui costruire il nostro rapporto. Sono convinto che il rispetto reciproco e la volontà di comprendersi siano alla base di ogni rapporto familiare sano e duraturo.

Ogni giorno è stato un viaggio di scoperta e crescita, un continuo tentativo di comprendere e farsi comprendere. Insieme, abbiamo imparato a camminare accanto, senza imporci nulla l’un l’altro ma accettando e sostenendoci reciprocamente. E questa è la lezione più preziosa che la mia famiglia mi ha impartito: l’importanza di un legame genuino e autentico, fondato sull’amore e la comprensione reciproca.

Hai mai sognato di intraprendere la carriera di drag queen?

Nella mia infanzia, la scuola aveva un ruolo importante nella mia vita, ma sentivo che dentro di me c’era qualcosa di diverso, qualcosa che non riuscivo a esternare. Il desiderio di diventare un ballerino era presente, ma era difficile far emergere questa passione in un contesto in cui sembrava più accettabile desiderare una carriera più “tradizionale” come quella di pediatra. Il senso di indifferenza nel quale mi chiudevo durante i momenti di solitudine e la sensazione di essere osservato anche quando credevo che nessuno potesse vedere o sentire ciò che facevo, era forse un riflesso della difficoltà di comunicare i miei veri desideri.

Mi sentivo come se fossi fuori posto, come se le mie aspirazioni non trovassero spazio nel mondo che mi circondava. Ma forse, anche in quel momento di solitudine, in cui mi credevo nascosto dietro le lenzuola del mio lettino, stavo già muovendo i primi passi verso una realizzazione che avrei intrapreso in seguito. La mia passione per la danza e la recitazione, anche se vissuta in segreto, era una parte fondamentale di me stesso, e avrebbe continuato a crescere e a plasmare il mio futuro.

Ecco, forse, l’aspetto più difficile da comprendere per chi cerca di capire la vita: spesso i desideri e le passioni che ci definiscono iniziano a fiorire nel terreno più arido, in quell’angolo di mondo che sembra più remoto e nascosto. Ma è proprio da lì che possono nascere le speranze più grandi e le realizzazioni più significative, perché è nelle pieghe apparentemente invisibili della nostra esistenza che troviamo la forza per trasformare la realtà.

Qual è stata l’origine di Priscilla?

La mia vena artistica è sbocciata durante gli anni del liceo, quando ho iniziato a frequentare un corso di recitazione e a prendere parte alla compagnia teatrale dell’insegnante. Fu durante uno spettacolo di Gigi Savoia che mi venne chiesto di ballare, e così decisi di iscrivermi a una scuola di danza al primo livello. Ero l’unico ragazzo di 16 anni in una classe di sole fanciulle tra gli 8 e i 10 anni, ma la passione per la danza mi spronava a non farmi intimorire dalla differenza d’età.

Non avrei mai immaginato di intraprendere la carriera di drag queen, non mi ero mai neanche travestito da donna per il Carnevale. Tuttavia, nel 2024, un programma televisivo stava cercando un interprete per il ruolo di drag queen professionista e così decisi di mandare alcune foto alla produzione. Le scattai in un locale dove, all’epoca, lavoravo come spogliarellista, indossando i costumi delle ballerine e un paio di stivali numero 37 nonostante portassi il 42. La produzione impazzì e mi contattò. Fu così che entrai in scena vestito da Priscilla: fu amore a prima vista. Da quel momento, Priscilla non si è mai fermata. Sentii che dovevo darle vita e iniziai a esibirsi nei club come drag queen, abbandonando il lavoro di spogliarellista. Nel 2024 vinsi il titolo di “Drag Queen Italia” e mi resi conto che Priscilla doveva essere qualcosa di più: un personaggio con profondità e preparazione artistica. Fortunatamente, incontrai registi che vollero portarla sul palcoscenico teatrale.

Nel percorso di Priscilla si riflette il rapporto tra l’arte e la vita, un’arte che si trasforma e si evolve insieme alla persona che la interpreta. La scoperta della propria identità artistica ha portato il protagonista a un percorso di crescita e di riscoperta di sé.

Chi è Priscilla e cosa la rende unica?

Priscilla, in realtà, è sempre stata presente in me, ma la sua presenza è emersa lentamente, come un fiore che spunta timidamente dal terreno. Ho imparato ad accettare la sua sensibilità, la sua vulnerabilità, e ho scoperto che queste caratteristiche non sono debolezze, ma forza. Priscilla mi ha insegnato a essere più compassionevole con me stesso e con gli altri, a vedere le cose da prospettive diverse, a comprendere che non esiste una verità assoluta ma molteplici sfaccettature della realtà.

Oggi, quando mi guardo allo specchio, vedo Priscilla e la amo. Senza di lei, la mia vita sarebbe più grigia, più rigida, meno creativa. Priscilla mi ha aperto alla bellezza, alla poesia, al mistero della vita. Mi ha mostrato che non dobbiamo avere paura di esprimere chi siamo veramente, anche se questo significa rompere gli schemi e le aspettative altrui.

Ogni persona porta con sé una Priscilla, un lato di sé che forse è stato nascosto o represso. Accettare e abbracciare queste diverse sfaccettature di noi stessi è un passo fondamentale per vivere una vita autentica e appagante. Grazie a Priscilla, ho imparato che la vera forza risiede nella capacità di abbracciare la propria unicità e vulnerabilità, e di manifestarle con coraggio al mondo.

Qual è il significato di aver dichiarato di essere stato un “omosessuale omofobo”?

Era uno di quei pensieri comunemente condivisi, un preconcetto che affiorava ogni volta che si avvicinava il periodo del Pride. C’era chi lo considerava una manifestazione eccessiva, quasi grottesca, un carnevale sfrenato e provocatorio. Ma poi ho iniziato ad approfondire la questione, a scavare nella storia della comunità queer, a immergermi nelle lotte e nei sacrifici che hanno portato alla conquista di diritti e dignità. Ho scoperto che il Pride non è solo una festa, ma una celebrazione profonda e necessaria dell’orgoglio di essere se stessi in un mondo che spesso ci nega questa possibilità.

Il Pride mi ha fatto riflettere sulla libertà individuale, sul diritto di esprimersi senza subire giudizi o discriminazioni. Perché ognuno di noi ha il diritto di scendere per strada come meglio crede, di indossare ciò che ci fa sentire noi stessi, di esibire la propria identità senza paura. E in questa varietà di espressioni, in questa libertà di essere, c’è la vera ricchezza dell’umanità. Priscilla mi ha messo di fronte ai miei pregiudizi, mi ha spinto a guardare al di là delle apparenze e a capire la profondità di significato dietro ogni piuma e ogni colore sgargiante.

Ti senti ancora discriminato oggi?

Nella comunità Lgbtq, come in molte comunità umane, si manifesta il fenomeno della discriminazione interna, una frattura che va oltre le barriere esterne e si insinua tra coloro che dovrebbero essere uniti dalla condivisione di esperienze, lutti e lotte comuni. Mi ritrovo spesso a confrontarmi con pregiudizi e stereotipi che limitano la mia esistenza e il mio lavoro. Le drag, in particolare, sono oggetto di una particolare forma di discriminazione, spesso viste più come spettacolo che come persone con cui costruire relazioni autentiche. Eppure, dietro ai trucchi e alle parrucche c’è molto di più di una semplice maschera: è la volontà di esprimere una parte di sé in modo esagerato, di rivendicare un’identità con forza e senza paura. La realtà che portiamo sul palco è intima, è autentica e rappresenta la lotta per il diritto di essere liberi, di manifestare la propria individualità senza subire giudizi o preclusioni.

Essere drag è un atto di coraggio, una vocazione che va oltre l’apparenza esteriore. È un modo per sfidare gli stereotipi, per essere attivi nella società, per fare politica con la propria arte, per sovvertire le regole con grazia e determinazione. Ogni passo in tacchi alti, ogni pennellata di make-up è un gesto di resistenza, un modo per affermare la propria esistenza in un mondo che spesso si rifiuta di accettare la diversità. La camicia di forza dei pregiudizi si sgretola sul palco, lasciando spazio a una vitalità travolgente e a un messaggio di libertà che raggiunge anche chi, da spettatore, si sente inascoltato nella propria unicità.

LEGGI ANCHE:  Ballerina paralimpica Giada insultata su TikTok: insieme al suo papà, combatte il cyberbullismo e si fa avanti per difendere se stessa e gli altri dal bullismo online

In questa lotta per l’affermazione dei propri diritti e della propria identità, ogni forma di discriminazione diventa un ostacolo da superare, un’occasione per riscrivere le regole del gioco, per affermare la propria esistenza con orgoglio e determinazione. Le battaglie per la libertà hanno mille volti e mille sfumature, e la mia scelta di essere drag è solo una delle tante testimonianze di coraggio e speranza che animano la vita di chi si rifiuta di essere relegato ai margini.

La tua famiglia ti ha accettato oppure c’è ancora qualcuno che deve farlo?

Nella mia decisione di restare tra le mura domestiche, ho scelto di abbracciare il calore delle relazioni umane, un intreccio di affetti e legami che mi avvolge e mi protegge come un abbraccio materno. La famiglia e gli amici sono i pilastri su cui costruiamo la nostra esistenza, i punti di riferimento che ci sostengono nei momenti di difficoltà e ci esaltano nei momenti di gioia.

La scelta di rimanere in Italia, nonostante le limitate opportunità nel mio campo artistico, è stata dettata proprio da questa esigenza di appartenenza e di vicinanza alle persone che amo. In un mondo in cui la frenesia e le ambizioni spingono molti a cercare fortuna altrove, io ho scelto di radicarmi nel terreno fertile dei legami affettivi, nutrendomi delle relazioni che mi circondano come piante rigogliose che si allacciano l’una all’altra.

La vita è fatta di scelte e io ho scelto l’abbraccio della mia famiglia e dei miei amici, consapevole che sono loro a donare senso e colore alla mia esistenza. Sono grato per la gioia che essi mi donano e per il sostegno reciproco che ci permette di affrontare le avversità con coraggio e determinazione.

Così, mentre il mondo artistico potrebbe offrire maggiori opportunità altrove, io ho deciso di coltivare il giardino delle mie relazioni in questa terra, consapevole che sono esse a rendere la mia vita ricca e significativa.

Vuoi avere anche tu un giorno la tua famiglia?

Mi chiamo Marco, e il desiderio di formare una famiglia è per me come un’ossessione, un’imperdibile avventura da intraprendere. La mia vita finora è stata un susseguirsi di relazioni fallite e di incontri senza seguito, come capitoli di un libro incompiuto. Ma non mi sono mai arreso, e ora più che mai sento il bisogno di coltivare l’amore e la condivisione.

Forse è proprio la mia età a farmi sentire questa spinta irrefrenabile verso la stabilità e la comprensione reciproca. A 47 anni si è ancora pieni di desiderio, di sogni da realizzare, ma si è anche consapevoli della fragilità della vita e della necessità di trovare un sostegno affidabile per affrontare le avversità che il destino potrà riservarci.

Cerco un compagno che sappia condividere con me non solo le gioie, ma anche le fatiche e le delusioni che la vita inevitabilmente porta con sé. Voglio trovare qualcuno che abbia il coraggio di guardare avanti con me, di costruire insieme un futuro solido e duraturo, fatto di piccole cose ma anche di grandi progetti.

E adottare dei figli… è un’idea che mi riempie di entusiasmo. Dare a dei bambini l’amore e l’attenzione di cui hanno bisogno, crescere insieme a loro, insegnando loro i valori fondamentali della vita. È una prospettiva che mi emoziona profondamente.

Forse è vero che sono uno zitello, ma non mi sento affatto incompleto. Anzi, ogni giorno è per me una nuova pagina da scrivere, un’opportunità per realizzare il mio sogno più grande: formare una famiglia e dare tutto l’amore che ho dentro.

Qual è il significato della diversità per te?

Priscilla, con la sua pelle scura e i capelli ricci, incarnava una diversità che mi affascinava e mi intrigava al tempo stesso. Aveva una presenza sicura, fieramente consapevole della sua identità, e non si sforzava di nascondere le sue origini etniche. Mi sembrava incredibile come potesse essere così a suo agio in un mondo che spesso sembrava non avere spazio per la diversità.

La scuola e la famiglia, con le loro regole e le loro convenzioni, spesso sembrano inculcare un’idea omologante di ciò che dovrebbe essere considerato “normale”, ma Priscilla mi ha mostrato che la normalità è solo un’illusione. Guardandola, ho imparato che accettare e abbracciare le diversità è il primo passo per costruire una società davvero inclusiva e aperta.

Nella vita, spesso siamo portati a categorizzare le persone in base a stereotipi o pregiudizi, senza cogliere la ricchezza e la complessità che si nasconde dietro ogni singola individualità. Priscilla mi ha insegnato che la diversità è come un caleidoscopio: ogni tassello contribuisce a creare un disegno unico e affascinante, che si svela solo se si è disposti ad osservare con occhi aperti e senza pregiudizi.

La lezione di Priscilla mi ha aiutato a guardare il mondo con occhi diversi, a sfidare le mie stesse convinzioni e ad aprire la mia mente a nuove prospettive. Mi ha insegnato che la diversità non è un problema da risolvere, ma una ricchezza da celebrare, una fonte inesauribile di vite da scoprire e da apprezzare.

Così, rendendo omaggio alla mia amica Priscilla, mi auguro che ognuno di noi possa imparare a guardare al di là delle apparenze e a valorizzare la diversità che arricchisce il tessuto della vita.

In che modo possiamo risolvere questo problema?

Nella vastità del mondo scolastico, l’importanza di insegnare ai più giovani il rispetto per l’altro, l’accettazione delle diversità e la libertà di espressione diventa un obiettivo fondamentale. La scuola, con il suo potere educativo, ha il compito di plasmare non solo le menti dei giovani, ma anche il loro spirito e il loro modo di relazionarsi con gli altri.

L’idea che i giochi debbano essere associati a un genere specifico è ormai obsoleta e limitante. I piccoli dovrebbero poter esplorare liberamente i loro interessi senza costrizioni dettate da stereotipi di genere. La libertà di scelta è un diritto che dovrebbe essere garantito fin dalla più tenera età, in modo che i bambini possano sviluppare la propria identità senza sentirsi vincolati da rigidi schemi predefiniti.

Inoltre, l’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale nelle scuole rappresenta una tappa fondamentale per favorire una consapevolezza emotiva e relazionale nelle future generazioni. L’ignoranza in quest’ambito può portare a fraintendimenti, discriminazioni e conseguenze negative sulla salute e sul benessere psicologico.

La mia esperienza nel progetto “Omovies school” mi ha permesso di toccare con mano la vivacità e la voglia di apprendere dei giovani di oggi. Sono consapevole che il terreno su cui semino queste idee è ricco e promettente. Lavorare con loro, incoraggiarli e nutrire la loro curiosità è essenziale per creare un futuro in cui il rispetto e l’accettazione siano la norma anziché l’eccezione.

E così, con la speranza come compagna di viaggio, continuo a credere che questo sia il cammino da perseguire. Osservo la vita e cerco di dare il mio contributo affinché le nuove generazioni possano costruire un mondo più inclusivo e consapevole.