L’impegno di Federica Di Martino nella lotta contro lo stigma dell’aborto: la sua convinzione che descriverlo solo come un trauma legittimi la violenza

L’impegno di Federica Di Martino nella lotta contro lo stigma dell’aborto: la sua convinzione che descriverlo

Nelle storie delle donne che hanno scelto di interrompere volontariamente la gravidanza si intrecciano emozioni complesse, decisioni ponderate, e spesso la mancanza di sostegno e comprensione da parte della società. La piattaforma di Federica Di Martino vuole sottolineare che l’aborto non dev’essere vissuto come un’esperienza di vergogna o di isolamento, ma come parte integrante della vita di una donna, accompagnata da un percorso di benessere e salute.

Attraverso la sua iniziativa, Di Martino prova a ribaltare la narrazione sull’aborto, solitamente dipinta in termini dolorosi e traumatici. La osservo come una sorta di sciamana moderna, intenta a curare le ferite dell’anima e a ridare dignità e voce alle storie delle donne che hanno vissuto questa esperienza.

Il tabù dell’aborto è solo uno dei tanti che ancora affliggono la società contemporanea. Ciò che colpisce è la forza di volontà di chi, come Di Martino, lotta per abbatterlo, per rendere accessibili informazioni e sostegno a chi ne ha bisogno.

La vita è fatta di scelte, e ogni scelta porta con sé una serie di emozioni e conseguenze. È fondamentale che la società sostenga le donne in queste decisioni, anziché giudicarle o stigmatizzarle. La piattaforma “Ivg – Sto benissimo” si pone come un faro di comprensione e supporto in un mare di pregiudizi e discriminazioni, fornendo un modello da seguire per altre realtà simili.

Qual è stata la motivazione alla base della creazione del progetto “IVG sto benissimo”?

Ciò che dovrebbe essere garantito come un diritto fondamentale, diventa invece un premio da conquistare attraverso

Le storie delle donne che hanno fatto questa scelta vengono raccontate come se fossero racconti di confessione, sul tono della reticenza e dell’anonimato. Ma perché dovrebbe esserci vergogna nel raccontare la propria esperienza? È forse più dignitoso nascondere la verità piuttosto che condividerla con altri che potrebbero trovarsi nella stessa situazione?

La piattaforma si presenta come un’oasi di condivisione e comprensione, un luogo dove le donne possono finalmente raccontare la propria storia senza timore di essere giudicate o biasimate. È un modo per riappropriarsi del proprio vissuto e allo stesso tempo offrire sostegno a chi si trova ad affrontare la stessa scelta.

Eppure, l’aborto rimane un argomento delicato e carico di tabù, una decisione che continua a essere oggetto di dibattito morale e politico. Ma al di là di queste implicazioni, c’è la realtà concreta di donne che devono affrontare questa scelta, spesso senza il supporto adeguato.

La vergogna che circonda l’aborto non fa altro che alimentare un senso di colpa ingiusto nelle donne che si trovano a vivere questa esperienza. Sarebbe forse più utile una società che offra sostegno e comprensione, anziché condanne e silenzi.

Che significato ha mettere insieme le parole “aborto” e “stare bene” in una stessa frase, creando un’associazione che sembra essere quasi un ossimoro?

 La vita è fatta di scelte, e ogni scelta porta con sé una serie di

In un mondo in cui la maternità è idealizzata e innalzata a unico scopo della vita di una donna, l’aborto diventa un tabù difficile da superare. Ma cosa significa veramente abortire? Significa prendere una decisione che riguarda il proprio corpo, la propria salute e il proprio futuro. Significa affrontare un momento delicato e personale, in cui le emozioni e le necessità individuali non sempre vengono comprese e rispettate.

L’aborto, come molte altre esperienze umane, non può essere ridotto a una semplice definizione. È un nodo della nostra esistenza, un punto di svolta che porta con sé un bagaglio di emozioni, dubbi e riflessioni. È un momento in cui la società e le istituzioni dovrebbero essere al servizio della persona, offrendo supporto e accoglienza senza giudizi o preconcetti.

Tuttavia, non possiamo negare che l’aborto sia ancora avvolto da un velo di silenzio e stigmatizzazione. La cultura dominante tende a dipingere l’aborto come un atto doloroso e vergognoso, alimentando il senso di colpa e l’isolamento delle donne che vi si trovano ad affrontare. Ma è davvero così? Forse è proprio questo atteggiamento che costituisce la vera violenza nei confronti delle donne: negare loro il diritto di parlare, decidere e ricevere supporto in un momento così delicato e personale.

Eppure, non possiamo negare che la società abbia compiuto passi avanti nel riconoscere l’importanza della salute riproduttiva e dei diritti delle donne. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stessa sottolinea come un’aborto accessibile e sicuro possa contribuire al benessere e alla salute della donna. Eppure, in Italia, come in molti altri paesi, restano ancora molti ostacoli da superare.

Sarebbe importante riconoscere l’aborto come un’esperienza complessa e personale, lontana da stereotipi e giudizi affrettati. Solo così potremo davvero garantire alle donne il diritto di scegliere e di vivere la propria vita in modo consapevole e autentico.

Qual è la tua definizione di “violenza riproduttiva”?

Forse è proprio questo atteggiamento che costituisce la vera violenza nei confronti delle donne: negare loro

In un’Italia dove i diritti sembrano dipendere dalla misura del dolore che siamo disposti a sopportare, ci troviamo di fronte a proposte che mettono in discussione non solo la libertà di scelta delle donne, ma anche il concetto stesso di consapevolezza e responsabilità. È come se si volesse ignorare la nostra capacità di pensare e decidere autonomamente, imponendo un’ulteriore violenza sui nostri corpi e sulle nostre menti.

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Questa tendenza a collegare i diritti alla sofferenza è un segno della distorsione dei valori della nostra società. Ciò che dovrebbe essere garantito come un diritto fondamentale, diventa invece un premio da conquistare attraverso prove di resistenza e dolore. È un rovesciamento della logica dei diritti, che dovrebbero essere riconosciuti e tutelati indipendentemente dalla capacità di sopportare il dolore.

In un momento storico in cui siamo chiamati a riflettere sulle discriminazioni e le disparità di trattamento, dovremmo lavorare per costruire una società in cui i diritti siano accessibili a tutti, senza distinzioni o condizionamenti. La vera consapevolezza sta nel riconoscere l’autonomia e la dignità di ogni individuo, senza costringerlo a soffrire per dimostrare il proprio valore.

Le proposte antiabortiste e le politiche basate sulla tolleranza alla sofferenza ci offrono l’occasione per interrogarci su quale società vogliamo costruire: una società basata sulla compassione, sull’uguaglianza e sul rispetto, o una società che impone il dolore come pedaggio per i diritti fondamentali. La risposta a questa domanda non è solo una questione di leggi e politiche, ma riguarda la nostra visione stessa della vita e della dignità umana.

Quali sono le richieste delle donne che ti scrivono?

Nella società attuale, la pressione sociale sulle donne riguardo alla maternità è ancora molto forte. Le donne spesso si trovano di fronte a una serie di aspettative e giudizi che rendono difficile esprimere liberamente il proprio desiderio di essere madri o meno. Il tema della maternità è ancora legato a stereotipi e standard rigidi che limitano la libertà delle donne di vivere la propria esperienza in modo autentico e non giudicante.

Le richieste che ricevo ogni giorno sono la prova di quanto sia importante creare spazi sicuri e accoglienti in cui le donne possano esprimere le proprie esigenze e paure legate alla sfera della sessualità e della maternità, senza temere il giudizio altrui. La paura del giudizio può spingere le persone a rimandare decisioni importanti per la propria salute e benessere. La libertà di scelta dovrebbe essere un diritto fondamentale, non soggetto a condizioni o pregiudizi.

Lavorare in questo ambito mi ha insegnato quanto sia cruciale offrire sostegno e comprensione, anziché giudizio e condanna. È un percorso verso una società più inclusiva e consapevole, in cui le donne possano sentirsi libere di esprimersi senza essere vincolate da rigidi dogmi sociali. La vita è fatta di molteplici sfaccettature e le esperienze legate alla maternità e alla sessualità non fanno eccezione. È importante riconoscere e rispettare la diversità di percorsi e scelte, senza imposizioni o pregiudizi. Questo è un passo fondamentale verso una società più empatica e autentica.

Cerchiamo di fare un’analisi approfondita della attuale situazione della Legge 194: è ancora efficace e attuale oppure necessita di essere aggiornata e riveduta?

La legge 194, nata da un compromesso storico, si basa su un presupposto che forse oggi appare ingiusto: quello della maternità come valore sociale fondante. Ma la realtà è che la scelta di interrompere una gravidanza non è sempre una questione di “non volere”, ma spesso è una questione di “non potere”. Le motivazioni che possono portare una donna a ricorrere all’aborto sono molteplici e complesse, e spesso legate a condizioni psicologiche, sociali ed economiche difficili.

Eppure, nonostante l’importanza di una legge che garantisca il diritto di scelta delle donne, la 194 si scontra spesso con ostacoli e contraddizioni. La necessità di un periodo di riflessione obbligatorio prima dell’aborto, ad esempio, sembra paradossale se confrontata con altre pratiche mediche a rischio maggiore.

Ma non è solo una questione di leggi: la pratica dell’aborto è ostacolata anche da una scarsa disponibilità di personale non obiettore nelle strutture sanitarie. Le liste d’attesa infinite spingono le donne a spostarsi da una regione all’altra, rendendo ancora più difficile accedere a un servizio che dovrebbe essere garantito.

Spesso ci illudiamo di avere diritti che poi, nella pratica, sono difficilmente accessibili. La lotta per garantire una reale e effettiva tutela del diritto d’aborto è ancora lunga e complessa, e richiede un impegno costante da parte di tutti coloro che credono nell’importanza della libertà di scelta della donna sulla propria vita e sul proprio corpo.

Le donne italiane che decidono di interrompere una gravidanza hanno in media un’età compresa tra i 25 e i 34 anni e la metà di loro è già madre, come riportato nel più recente rapporto del Ministero della Salute. Tuttavia, nonostante questi dati, nella cultura comune si perpetua l’idea che le donne che scelgono di abortire siano principalmente giovani adolescenti “inconsapevoli e ingenui”.

In un mondo in cui l’aborto è oggetto di aspre polemiche e pregiudizi, sarebbe importante riflettere sulle ragioni più profonde di questa pratica, al di là delle etichette e delle false credenze che la circondano.

Le donne che scelgono di interrompere una gravidanza non sono delle inconsapevoli irresponsabili, come spesso si tende a dipingerle. Molte di loro hanno già sperimentato la maternità e sono consapevoli delle responsabilità che essa comporta. La scelta di non voler proseguire con una gravidanza non dovrebbe essere giudicata come un atto di superficialità, bensì come un’espressione di consapevolezza e autonomia.

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È facile dire “basta usare la contraccezione”, ma la realtà è più complessa di quanto si pensi. La contraccezione non è efficace al 100%, e spesso il peso della responsabilità contraccettiva ricade totalmente sulle spalle delle donne. Inoltre, i costi dei contraccettivi possono rappresentare un ostacolo per molte persone, senza contare la mancanza di una vera volontà politica di affrontare questa problematica in modo concreto.

In un mondo in cui le donne sono spesso oggetto di giudizi e pregiudizi, sarebbe importante imparare a guardare oltre le apparenze e a comprendere le complessità delle scelte legate alla maternità e alla contraccezione. Solo così si potrà davvero avanzare verso una società più inclusiva e rispettosa delle scelte individuali.

La distribuzione della pillola avverrà esclusivamente presso consultori e ospedali e sarà riservata esclusivamente alle donne di età inferiore a 26 anni. Si tratta di un progresso significativo o di un ulteriore gesto di facciata che non risolve effettivamente il problema?

In una società che si vanta di progresso e modernità, sembra che la mentalità resti ancorata a pregiudizi e limiti superati da tempo, come se si avesse paura di affrontare la realtà nella sua complessità e varietà. È come se si continuasse a guardare il mondo attraverso un tubo, anziché spalancare gli occhi e abbracciare la ricchezza del vivere delle donne.

La contraccezione gratuita fino ai 26 anni potrebbe essere considerata un piccolo passo avanti, ma è come lanciare una moneta in un pozzo senza mai chiedersi quali altre risorse potrebbero essere messe a disposizione. Si tratta di una misera concessione, un gesto simbolico che potrebbe far pensare di aver compiuto un grande passo, mentre si sgretolano le basi di una vera attenzione alla salute sessuale e riproduttiva delle donne.

Questa presunta misura di progresso è solo un piccolo tassello di una visione più ampia e inclusiva che comprenda la salute femminile nella sua totalità. Non serve a nulla una pillola presa a caso se non si comprende e si accoglie la complessità del corpo e delle esistenze femminili. Serve un’educazione che vada oltre il mero meccanismo biologico, che tenga conto delle emozioni, delle relazioni, della libertà di scelta e della consapevolezza di sé.

La vita reale delle donne, con le sue sfumature e contraddizioni, non può essere ridotta a un pacchetto di misure a senso unico. Serve uno sguardo ampio, curioso, sensibile alle molteplici sfaccettature dell’esperienza femminile. Serve un’attenzione che non si esaurisca in puntualizzazioni burocratiche, ma che sappia tradursi in un ascolto attento e rispettoso delle esigenze e dei diritti delle donne.

L’aborto diventa un argomento di grande rilevanza nel contesto internazionale: le notizie provenienti dagli Stati Uniti indicano la perdita progressiva dei diritti acquisiti, mentre in Francia Macron annuncia l’inclusione della legge sull’aborto nella Costituzione.

Nei meandri intricati della politica e delle sue decisioni, si cela il destino incerto dei diritti umani, costantemente soggetti a revisioni e reinterpretazioni. La paura che queste pratiche essenziali possano essere limitate o negate in base agli orientamenti politici vigenti è un pensiero inquietante, che ci spinge a riflettere sul concetto stesso di diritto universale.

In Italia, la gestione della sanità è affidata alle singole regioni e, di conseguenza, il diritto alla salute può variare a seconda della colorazione politica locale. È un esempio paradigmatico di come le politiche influenzino direttamente la garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini.

In Francia, l’aborto viene presentato come una conquista di libertà individuale, ma non ancora come un diritto indiscutibile. Questo tentativo di inserirlo tra i diritti inalienabili evidenzia la complessità e la delicatezza della definizione dei diritti umani.

Negli Stati Uniti, la recente revoca della legge sulla possibilità di abortire, precedentemente sancita dalla celebre sentenza Roe v. Wade del 1973, dimostra quanto sia fragile la conquista di diritti fondamentali. Questo evento spinge a riflettere sul fatto che ciò che è stato conquistato con fatica può essere facilmente ribaltato nel giro di pochi anni, sottolineando la precarietà di certe acquisizioni.

È necessario agire non solo sul fronte legislativo, bensì anche sul piano culturale, per creare una consapevolezza diffusa riguardo ai diritti umani. Senza un cambiamento profondo nella cultura e nella mentalità sociale, i diritti rischiano di restare sempre vulnerabili e soggetti a dubbie interpretazioni. La stabilità e l’inviolabilità dei diritti umani dipendono, in ultima analisi, dalla consapevolezza e dall’impegno costante di ogni singolo individuo.

I “40 Giorni per la Vita” si sono appena conclusi a Modena: il presidio antiabortista durato 40 giorni davanti al Policlinico, un atto di protesta contro l’aborto che solleva interrogativi sul diritto a manifestare e sul diritto alla salute delle donne.

Un giorno, o forse un’ora, a Modena si stava per compiere un’azione che io definirei vergognosa. Ho cercato di avvisare le voci politiche, di mettere in guardia sul pericolo imminente, ma nessuna risposta è giunta a me. In Spagna si è sollevata la proposta di legge per vietare i picchetti davanti agli ospedali e alle cliniche, perché si ritiene che questa pratica equivalga a dissuadere le persone da una scelta autodeterminativa. Qui in Italia, purtroppo, la violenza viene troppo spesso giustificata dal diritto di opinione. Ma non è tutto legittimo. Ciò che intacca la libertà degli altri, i diritti fondamentali, non è diritto di opinione, bensì violenza; e come tale va considerato.

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Pensare che un picchetto di persone possa radunarsi con fiaccole e cartelli, con immagini forti contro l’aborto, significa agire con violenza nei confronti delle donne. Dobbiamo quindi scegliere da che parte stare: a difesa dei diritti delle donne, o a favore di chi li vuole negare?

A fianco a noi, in qualsiasi momento, c’è sempre una donna che ha vissuto la difficile esperienza dell’aborto. Tuttavia, continuiamo a illuderci di essere soli in questa condizione, perché non ne parliamo, non la condividiamo. E tutto ciò contribuisce ad isolare e a silenziare.

Quali sono le azioni pratiche che una donna deve compiere se desidera procedere con un aborto?

Nel momento in cui il test risulta positivo, ci si trova di fronte a un bivio, a una scelta da compiere. È come se la vita stesse presentando un nodo da sciogliere, un incrocio sul cammino in cui bisogna decidere quale strada prendere. E questa strada, questo percorso, porta verso un luogo in cui si incontrano la medicina, la scienza, la società e la morale, un luogo in cui si intrecciano diritti individuali e valori collettivi.

Il certificato per l’IVG diventa quindi il simbolo di questa scelta, di questa decisione da prendere. Non è solo un pezzo di carta, ma è la traccia tangibile di un momento di svolta, di un passaggio cruciale nella vita di una persona. È il segno che si è attraversato una soglia, che si è presa in mano la propria esistenza, che si è assunta la responsabilità di un decisivo atto decisionale.

Il medico, figura di fiducia e di competenza, diviene il tramite, l’interprete di questa decisione. La sua presenza è rassicurante, è guida in un percorso che può sembrare oscuro e impervio. E proprio come il medico, anche la vita ci mette di fronte a scelte difficili, a decisioni da prendere con coraggio e consapevolezza.

I certificati, il normale e l’urgenza, diventano metafore dei tempi della riflessione, dei momenti in cui è necessario fermarsi, ponderare, valutare. Sono i giorni in cui si esplora il labirinto dei propri pensieri, si cercano le vie d’uscita, si mettono a fuoco i propri desideri e le proprie possibilità.

E poi c’è l’ospedale, luogo in cui si incontrano e si scontrano la fragilità e la forza, la paura e la speranza, la sofferenza e la cura. È il teatro in cui si rappresenta la drammatica commedia della vita, con i suoi atti, i suoi rituali, le sue ansie e le sue attese. E in questo teatro, come in ogni teatro, siamo tutti attori e spettatori: partecipanti e testimoni di un evento che ci coinvolge tutti, direttamente o indirettamente.

L’aborto chirurgico e quello farmacologico diventano le opzioni, le vie alternative che si aprono davanti a noi. Entrambi con i loro tempi, i loro procedimenti, le loro implicazioni. E come in molte scelte della vita, non c’è una risposta universale, una strada giusta per tutti. Ognuno deve confrontarsi con le proprie circostanze, con le proprie convinzioni, con la propria situazione.

E infine, il consiglio, la raccomandazione: entro le 9 settimane di gravidanza viene consigliata l’opzione farmacologica. E qui si apre un altro capitolo della storia, un altro punto di svolta, un altro incrocio da affrontare. La scienza, la tecnologia, la medicina ci offrono strumenti e possibilità, ma siamo noi a dover scegliere, a dover decidere.

E così la vita si dipana, tra scelte, certezze, dubbi. Tra le strade che si aprono davanti a noi, tra i bivi in cui ci troviamo a dover scegliere. E in fondo, proprio come nel percorso dell’IVG, la vera responsabilità è quella di prendere in mano le redini della propria esistenza, di assumersi il peso e l’onere delle decisioni da compiere. E la vita, con la sua complessità e la sua imprevedibilità, ci chiede di essere consapevoli, coraggiosi, umani.