Il diritto delle persone a esistere e a essere cresciute da due mamme o due papà: la Presidente Crocini condivide la sua esperienza con Famiglie Arcobaleno

Il diritto delle persone a esistere e a essere cresciute da due mamme o due papà:

Alessia Crocini, con il suo sguardo deciso e la determinazione nei gesti, sembra incarnare un’immagine moderna e dinamica di una società che non accetta più di essere lasciata ai margini. Come molti altri leader di associazioni simili, sembra trasmettere l’idea di un gruppo determinato a ottenere giustizia e non disposto a essere messo da parte.

Il tema delle famiglie arcobaleno è solo uno dei tanti tasselli che compongono il mosaico della realtà contemporanea. È un simbolo delle trasformazioni che la società sta vivendo, dei nuovi diritti che stanno emergendo e delle vecchie istituzioni che faticano ad adattarsi. È un esempio di come la legge e la cultura siano in ritardo rispetto alla vita reale.

Le battaglie portate avanti da associazioni come famiglie arcobaleno sono la prova di come alla base della società ci siano tante realtà diverse che non possono essere ignorate. Sono voci che chiedono di essere ascoltate e riconosciute, e che non accettano più di essere emarginate o discriminate.

La lotta per i diritti civili e la battaglia contro le discriminazioni sono temi Una vasta parte della popolazione mondiale. Si tratta di un movimento che non sembra conoscere confini nazionali e che mostra come la ricerca di giustizia e uguaglianza sia un obiettivo condiviso da molte persone in tutto il mondo.

In questa intervista, le parole di Alessia Crocini e la sua storia personale si intrecciano con il grande tema della lotta per i diritti, tema che sembra essere centrale nella contemporaneità e che risuona in molte altre voci, in molte altre realtà. Sembra essere una lotta senza fine, ma anche un segno di speranza e di cambiamento in atto.

Qual è l’importanza di avere questo numero?

  Ancora oggi le feroci polemiche sul caso fanno accendere il dibattito riguardo alla celebre

Nella società odierna, il fenomeno delle famiglie omogenitoriali sta lentamente ma costantemente guadagnando terreno, diffondendosi in maniera capillare dalle metropoli alle più remote aree rurali. Come attivista politica, non posso fare a meno di sottolineare l’importanza del riconoscimento di questi nuclei familiari, indipendentemente dal loro numero, come entità dignitose di protezione e sostegno.

Ma quantità e qualità non sempre procedono di pari passo: anche se il numero di donne supera di gran lunga quello degli uomini, esse sono spesso sotto rappresentate nei vertici delle istituzioni e delle imprese. Quindi, se da un lato i numeri possono offrire supporto e legittimità a una data causa, dall’altro non bisogna dimenticare che la sottostima di un fenomeno può condurre a sottovalutarne l’importanza e l’impatto sociale. In politica, infatti, i numeri non sono solo simboli astratti, ma si traducono concretamente in voti e consensi, influenzando direttamente il destino delle comunità e delle istituzioni.

Quali sono le diverse battaglie affrontate dalle famiglie arcobaleno?

È un desiderio che non conosce orientamento sessuale, né dovrebbe conoscere ostacoli giuridici.

In questa Italia tanto affollata di leggi, regolamenti, divieti e discriminazioni, l’associazione si fa strada come un sentiero che si apre nella foresta, lentamente ma con determinazione. Si batte per il riconoscimento di diritti fondamentali, per la possibilità di formare una famiglia senza limiti imposti dall’orientamento sessuale o dalla condizione di single. Una battaglia che non si combatte solo nei tribunali, ma anche nell’opinione pubblica e nella coscienza di ogni singolo individuo.

La lotta per la doppia genitorialità è una piccola parte di quella più vasta e più profonda che riguarda l’uguaglianza e la libertà di ciascuno di scegliere la propria strada. È una lotta che attraversa i confini delle leggi e arriva al cuore delle relazioni umane, delle famiglie, delle comunità. È una lotta che non riguarda solo i membri dell’associazione, ma tutti coloro che credono nell’importanza di una società aperta e inclusiva.

La sentenza sulla stepchild adoption è come un ponte gettato sulle acque agitate di una legislazione arcaica e discriminatoria. È un segno di speranza per quei genitori che lottano ogni giorno per garantire ai propri figli un futuro di dignità e di amore, nonostante le barriere innalzate dall’intolleranza e dall’ignoranza.

E poi c’è la battaglia contro il decreto Salvini, un atto simbolico di resistenza contro l’omologazione forzata a modelli familiari obsoleti e limitanti. La realtà delle coppie omogenitoriali non può piegarsi a etichette preconfezionate, non può essere costretta in schemi che non le rappresentano. È una sfida al linguaggio, alla cultura, alla mentalità dominante. È una rivendicazione di spazio e di voce per chi troppo a lungo è stato costretto nel silenzio e nell’ombra.

L’associazione continua a tessere la sua tela di batoste legali e sociali, un filo sottile ma resistente che si intreccia con le vite di tante persone che non si arrendono di fronte all’ingiustizia. È un esempio di come la tenacia e la solidarietà possano piegare le resistenze più ostinate, di come il cambiamento possa nascere dal coraggio di pochi e abbracciare poi l’intera comunità.

La luce delle sentenze positive e delle vittorie legali illumina un orizzonte che sembrava così lontano e irraggiungibile. È un segno che le leggi non sono scolpite nella pietra, ma sono il frutto delle scelte e delle lotte di chi le abita. È un invito a non arrendersi mai, a non smettere di sognare un futuro in cui tutti possano essere riconosciuti e rispettati per ciò che sono.

Ancora oggi le feroci polemiche sul caso fanno accendere il dibattito riguardo alla celebre dicitura “Genitore 1”, “Genitore 2” che ha fatto scalpore.

È nostro compito, come società, creare un ambiente di accettazione e comprensione in cui ogni bambino

Nel tumulto degli eventi politici e sociali che caratterizzano la nostra epoca, la questione delle diciture sulle carte di identità sembra un dettaglio trascurabile. Eppure, come spesso accade, sono proprio i dettagli a svelare le tensioni e le contraddizioni di una società in continuo mutamento.

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La decisione del decreto del 2024 ha scatenato reazioni contrastanti, come un sasso lanciato in uno specchio d’acqua, generando increspature e ondate che si propagano ancora oggi. Ma cosa c’è dietro a questa apparente battaglia sulle parole? Forse si nasconde il desiderio di difendere a tutti i costi un’idea cristallizzata di famiglia, con le sue tradizioni e i suoi ruoli ben definiti. O forse si tratta, invece, di un tentativo di riconoscere e includere le molteplici forme che il concetto di famiglia può assumere nella complessità della contemporaneità.

La sentenza di Roma, che riconosce l’illegittimità di imporre la scritta “madre e padre” sulle carte d’identità, è come un soffio d’aria fresca in un’atmosfera surriscaldata. Ma al di là dell’aspetto legale, ci interroga sul significato stesso di queste parole. Madre e padre, due figure che evocano un mondo di relazioni, affetti, responsabilità. Ma cosa succede quando queste figure non corrispondono esattamente all’immagine tradizionale, quando le dinamiche familiari si intrecciano in forme inaspettate e sorprendenti?

Ciò che emerge da questa controversia è la sfida a riconsiderare e ridefinire concetti che sembravano solidi e immutabili. Madre e padre non sono solo ruoli biologici o sociali, ma simboli carichi di significati e implicazioni. E forse è proprio questo il cuore pulsante della questione: la necessità di aprirsi a nuove prospettive, di accogliere la complessità e la diversità che caratterizzano le nostre vite.

Quindi, al di là delle polemiche e delle tattiche propagandistiche, ci troviamo di fronte a una sfida più profonda, quella di abbracciare la molteplicità delle esperienze umane, senza rinchiuderci in definizioni rigide e schematiche.

Qual è il principale ostacolo che si frappone al riconoscimento di un diritto che, dal punto di vista pratico, non arreca alcun danno alle libertà individuale di nessuno?

In questo scenario di inerzia politica, ci troviamo di fronte a una situazione paradossale: mentre la realtà sociale si evolve e si trasforma, la macchina burocratica e legislativa sembra rimanere ferma, incapace di adattarsi ai mutamenti della vita quotidiana.

Eppure, la vita familiare è al centro delle dinamiche umane, influenzando il modo in cui ci rapportiamo agli altri e il modo in cui ci sviluppiamo come individui. Le varie forme di famiglia, che si tratti di coppie omogenitoriali, famiglie monoparentali o nuclei familiari singoli, offrono una molteplicità di esperienze e possibilità di relazione.

La questione legislativa riguardante le famiglie omogenitoriali va quindi oltre la mera definizione di diritti e doveri legali. Si tratta di riconoscere e valorizzare la complessità e la ricchezza delle relazioni umane, di abbracciare la diversità e di promuovere un contesto sociale inclusivo e rispettoso.

Ma mentre la politica tergiversa, la vita continua a fluire, a reinventarsi, a sfidare le categorie predefinite. Ed è proprio in questa continua evoluzione che risiede la bellezza e la vitalità dell’esistenza umana. Siamo chiamati a saper cogliere e accogliere tali trasformazioni, a costruire un tessuto sociale in grado di abbracciare la molteplicità delle esperienze umane.

Forse, invece di delegare la questione ad altre istanze, dovremmo considerare l’opportunità di un dibattito aperto e inclusivo, capace di incrociare saperi e punti di vista diversi. Solo così potremo sperare di costruire un contesto normativo e legislativo in grado di rispecchiare realmente la complessità e l’evoluzione dei legami familiari nella società contemporanea.

Quali sono i diritti che ancora mancano nel quotidiano di un bambino appartenente a una famiglia arcobaleno?

In quei frangenti, la vita si scontra con le asperità della legge, e ci si ritrova a navigare tra le maglie di normative che non sempre tengono conto della complessità dei legami familiari. La realtà è fatta di situazioni che sfuggono alle rigide categorie legali, di affetti che non si piegano alle formalità burocratiche.

Ma in fondo, la vera essenza della genitorialità non si misura con certificati o riconoscimenti formali. Essa risiede nell’amore che si nutre per un figlio, nell’impegno quotidiano per la sua crescita e nella capacità di essere presenti, anche nei momenti più delicati. La vita, con la sua irriducibile complessità, non può essere confinata all’interno di parametri normativi statici. E la stessa legge, pur necessaria per garantire diritti e protezioni, dovrebbe essere in grado di adattarsi alla molteplicità delle esperienze umane.

Ciò che conta davvero è il legame intimo che si crea tra genitore e figlio, un legame che va al di là di qualsiasi formalità legale. E nonostante le difficoltà burocratiche, questo legame è capace di resistere a ogni ostacolo e di plasmare la vita stessa con la forza dei suoi legami affettivi.

Quindi, quali richieste avete da farci?

Le uniche cose che bramiamo sono leggi chiare come cristallo, che possano finalmente riconoscere i figli e le figlie già alla nascita, indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori. E poi la possibilità di adottare, per le coppie dello stesso sesso e anche per i single. Una adozione non solo in casi particolari, come nel caso della stepchild, ma pienamente legittimata e garantita. E ancora, il matrimonio egualitario, un passo fondamentale verso l’uguaglianza di diritti. E non possiamo dimenticare una riforma della legge 40, che apra le porte della procreazione medicalmente assistita anche alle donne single e alle coppie omosessuali femminili.

In fondo, ci chiediamo, cosa c’è di più naturale della volontà di formare una famiglia, di amare e allevare un figlio? È un desiderio che non conosce orientamento sessuale, né dovrebbe conoscere ostacoli giuridici. Ma la strada da percorrere, lo sappiamo bene, è ancora lunga e tortuosa. Proprio per questo, in collaborazione con l’associazione Rete Lenford, abbiamo stilato un progetto di legge che possa rappresentare un passo avanti verso la piena uguaglianza di diritti per tutti. Eppure, non possiamo fermarci qui, perché la battaglia per l’uguaglianza è un percorso senza fine, fatto di piccole vittorie e grandi sfide, un percorso che è anche una forma di resistenza e di speranza.

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Quali sono i confini che l’associazione si pone su alcune tematiche?

Siamo come una rete tessuta con cura e attenzione, dove ogni filo ha il suo peso e la sua importanza. Non siamo qui per promuovere servizi o per fare da tramite tra persone e strutture, ma piuttosto per creare un luogo di sostegno e condivisione per le famiglie arcobaleno.

Qui si respira un’atmosfera di rispetto e solidarietà, dove ognuno può trovare un supporto senza essere giudicato o discriminato. Non siamo solo un’associazione, siamo una comunità che si nutre delle esperienze e delle storie di ognuno, cercando di trasformare le sfide in opportunità di crescita.

La vita ci pone di fronte a molte scelte e sfide, soprattutto quando si tratta di costruire una famiglia in modo non convenzionale. Ma proprio in queste diversità si nascondono le sfumature più belle e sorprendenti dell’esistenza. Ed è proprio qui, in questa associazione, che queste sfumature vengono celebrate e valorizzate.

Quali sono le complicazioni etiche che possono sorgere quando si condivide informazioni riguardanti i centri per la procreazione medicalmente assistita (PMA)?

Nell’atmosfera frenetica delle cliniche di PMA, dove le coppie cercano disperatamente di realizzare il loro sogno di diventare genitori, si cela un sottile gioco di interessi commerciali. Le coppie omosessuali, in particolare, si trovano costrette a guardare al di là dei confini nazionali, costrette a pagare ingenti somme per avere accesso ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita.

Questa situazione pone in evidenza come la sfera della riproduzione assistita sia permeata da una serie di complicazioni e disuguaglianze, mostrando le differenze di trattamento basate sull’orientamento sessuale. Ma, oltre a tutto questo, c’è un aspetto ancora più importante da considerare: la necessità di condividere le esperienze personali per trovare sostegno e orientamento.

Le informazioni sulle cliniche e sulle pratiche di PMA non possono essere ridotte a semplici dati tecnici o statistiche. Esse devono passare attraverso il filtro delle vicende umane, perché solo ascoltando le storie di chi ha già affrontato questo percorso è possibile comprendere appieno le sfide, le emozioni e le speranze legate alla ricerca di una soluzione per la propria infertilità.

La confusione e l’incertezza che avvolgono le coppie in cerca di aiuto sono un segno tangibile della complessità che caratterizza la vita stessa. Come in un labirinto, ci si trova a vagare tra dubbi e speranze, cercando un filo che possa condurre alla risposta tanto agognata. E in questo labirinto, la parola di chi ha già percorso quella strada diventa una bussola preziosa, in grado di indicare la direzione da seguire verso la realizzazione di un desiderio profondo.

Quanto è fondamentale comunicare in modo efficace e diffondere informazioni corrette su argomenti così delicati?

In questo universo iperconnesso in cui viviamo, popolato da una miriade di voci che si mescolano e si sovrappongono senza sosta, l’ignoranza persiste nonostante la vasta disponibilità di informazioni a portata di clic. Come in un labirinto digitale, le parole scorrono sullo schermo in un flusso inarrestabile, mescolando verità e menzogne, conoscenza e supposizioni.

Eppure, benché l’accesso alle conoscenze sia così ampio, l’ignoranza dilaga in modo subdolo, aggrappandosi alle convinzioni errate e alimentando pregiudizi e diffidenze. Le parole scritte senza consapevolezza e in mancanza di veri contenuti sono come l’eco di una voce che si perde nella vastità dello spazio digitale, generando un’oscurità che offusca la comprensione e promuove l’intolleranza.

In un panorama così complesso, è essenziale nutrire una mentalità critica e un approccio curioso verso ciò che viene presentato come verità assoluta. La conoscenza non è da considerare mai come un dato acquisito e immutabile, ma come un percorso in perpetua evoluzione, che richiede costante impegno e apertura mentale.

L’ignoranza non è soltanto un limite individuale, ma un pericolo per l’intera comunità, in quanto mina le basi della convivenza pacifica e dell’accettazione reciproca. Solo attraverso la consapevolezza e l’apertura alla conoscenza possiamo sperare di dissipare queste nebbie di ignoranza e intolleranza che minacciano di offuscare il nostro futuro.

Come possiamo fare questo?

In realtà, la questione dell’adozione e del riconoscimento alla nascita è solo una goccia nel mare delle problematiche sociali che affliggono la nostra società. Come in un intricato labirinto, le normative e le leggi spesso si pongono come ostacoli insormontabili per chiunque cerchi di realizzare il proprio desiderio di formare una famiglia. E non è solo una questione di leggi, ma anche di mentalità, di pregiudizi, di resistenze che si oppongono al cambiamento.

E così, come in una partita a scacchi in cui ogni mossa è calcolata con attenzione, ci si trova a dover valutare con estrema prudenza quali lotte intraprendere e quali lasciar perdere, nel tentativo di non compromettere le possibilità future di conquistare spazi e riconoscimenti per tutte le famiglie. È un equilibrio delicato, quasi come camminare su un filo sospeso nell’aria, dove un passo falso potrebbe essere fatale.

Ma proprio in mezzo a queste difficoltà, emergono anche storie di coraggio e determinazione, di piccole vittorie quotidiane che illuminano il cammino. Persone che, nonostante le avversità, trovano la forza di resistere e di lottare per i propri diritti, dimostrando che anche di fronte alle ingiustizie più grandi c’è sempre spazio per la speranza e per il cambiamento.

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E anche se alcune battaglie potrebbero sembrare perse in partenza, è importante non dimenticare che ogni sforzo compiuto lascia un segno, anche se impercettibile, nel tessuto della società. E chissà che, in un futuro non troppo lontano, quelle stesse battaglie non possano essere finalmente vinte, aprendo la strada a un mondo in cui l’amore e la possibilità di formare una famiglia non siano più vincolati da rigide normative e pregiudizi arcaici.

Un appello rivolto al senso di appartenenza e responsabilità della comunità?

Entrare a far parte di un’associazione come famiglie arcobaleno non può essere visto come un atto egoistico, ma come un impegno nei confronti di un obiettivo collettivo. È un modo di pensare che va oltre la semplice tutela dei propri interessi individuali, comprendendo l’importanza di considerare sempre l’impatto delle proprie azioni sull’intera comunità.

La vita, spesso, ci chiede di bilanciare il nostro desiderio di realizzazione personale con la consapevolezza delle reciproche interdipendenze. Come in un’associazione, dove ogni membro è importante per il benessere dell’intera organizzazione, così anche nella vita di tutti i giorni dobbiamo imparare a riconoscere e rispettare l’importanza delle relazioni e delle connessioni che ci legano agli altri.

Aderire a famiglie arcobaleno implica mettere da parte l’egoismo e tener conto delle necessità e dei diritti di tutti, sfidando l’individualismo dominante nella società contemporanea. In fondo, la vita stessa è un tessuto di relazioni e connessioni, e solo prendendocene cura possiamo sperare di costruire un futuro migliore per tutti.

Come avete fatto a consolidare un tale senso di comunità?

Nelle pieghe del quotidiano, nell’ordinaria routine che scandisce le nostre giornate, si nascondono occasioni preziose per scoprire nuovi orizzonti e per sentirsi parte di qualcosa di più grande. È così che ci ritroviamo immersi in iniziative, convegni, congressi, alla ricerca di un senso di appartenenza e di confronto che rafforzi la nostra visione del mondo e ci dia la possibilità di aprirci a nuove prospettive.

Le ricerche, poi, sono come un faro che illumina le nostre azioni, ci forniscono nuovi strumenti per capire meglio noi stessi e il contesto in cui viviamo. Anch’esse sono volontarie, frutto di un impegno che va oltre l’obbligo e che trova la sua ragion d’essere nel desiderio di conoscenza e di condivisione.

E poi ci sono le assemblee nazionali, momenti di sintesi e di confronto in cui ci soffermiamo sui temi che ci stanno a cuore, in cui si fa il punto della situazione e si cerca di tracciare nuove rotte. È un’occasione preziosa per mettere in comune le esperienze, per capire che le sfide che affrontiamo non sono soltanto nostre, ma sono condivise da molti altri.

E così, i nostri figli imparano che esistono realtà diverse dalla loro, che la pluralità delle esperienze arricchisce il nostro bagaglio di conoscenze e ci permette di sentirci parte di una grande famiglia, in cui ognuno ha qualcosa da dire e da offrire. E noi, genitori, troviamo conforto e sostegno nel confronto con le altre famiglie, scoprendo che le nostre lotte e le nostre speranze sono condivise da tanti altri.

In questo racconto, la vita si presenta come una rete di relazioni e di scoperte, un tessuto fitto di incontri e di confronti che arricchiscono il nostro cammino e ci permettono di sentirci parte di qualcosa di più grande di noi stessi.

Non pretendete di essere in grado di rappresentare l’intera complessità delle famiglie omogenitoriali da soli.

In una società in cui la normalità sembra essere definita da criteri rigidi e uniformi, ci dimentichiamo spesso della bellezza e dell’importanza delle diversità. Ogni famiglia è un universo a sé, con le sue dinamiche, le sue storie, le sue peculiarità. Accettare e celebrare queste diversità non solo arricchisce la società, ma è anche fondamentale per il benessere dei più piccoli.

Spesso, però, ci troviamo di fronte a pregiudizi e preconcetti che rendono difficile per le famiglie non tradizionali sentirsi accettate e integrate. C’è chi pensa di aiutare i bambini a sentirsi normali nascondendo loro la realtà della propria famiglia, ma è forse più importante interrogarsi su cosa significhi veramente essere normali.

Crescere pensando di essere l’unica creatura al mondo con due genitori dello stesso sesso può generare un senso di isolamento e diversità che non dovrebbe appartenere all’infanzia. È nostro compito, come società, creare un ambiente di accettazione e comprensione in cui ogni bambino possa sentirsi a proprio agio e amato, indipendentemente dalla composizione della propria famiglia.

Quanto alla normalizzazione, essa non dovrebbe significare eliminare le differenze, bensì abbracciarle e valorizzarle. Soprattutto per i bambini, la diversità dovrebbe essere vista come una ricchezza e un’opportunità di apprendimento, non come un motivo di emarginazione o isolamento. Eccoli, i più piccoli, che da sempre sono i custodi della nostra coscienza critica e della nostra capacità di guardare oltre le apparenze e i pregiudizi. E forse sono proprio loro il nostro miglior esempio di come accogliere e celebrare le differenze.