La mamma di un bambino con diagnosi di ADHD denuncia l’esclusione del figlio dagli scout

Quella sera, dopo aver ascoltato il racconto del figlio, la donna si sedette al tavolo della cucina e prese un foglio bianco. La penna le scorreva fra le dita con lentezza e precisione, mentre cercava le parole giuste per esprimere la sua indignazione e la sua preoccupazione. La luce fioca della lampada da tavolo filtrava dalle persiane e il ticchettio dell’orologio scandiva il tempo con monotonia.

Come può accadere, si chiedeva la mamma, che un bambino così vivace, curioso, eppure così fragile, venga escluso senza motivo da un gruppo che dovrebbe essere luogo di accoglienza, di crescita, di solidarietà? Che mondo è questo in cui un bambino si sente respinto e incompreso solo perché la sua mente, scintillante e irrequieta come una farfalla, non riesce a conformarsi ai canoni rigidi e predefiniti degli adulti?

L’esperienza del figlio riportò alla donna alla mente i suoi stessi dubbi e timori di quando era giovane, la sensazione di non appartenere, di essere un’anima inquietante e irriverente in un mondo che esigeva conformità e obbedienza. Anche adesso, adulti e bambini sembravano troppo spesso pronti a respingere ciò che non riuscivano a comprendere, ciò che sfuggiva al controllo e alle logiche ordinarie.

Ripensando alla lettera, la mamma decise di chiudere gli occhi per un attimo, e di immaginare un mondo diverso. Un mondo in cui i margini non esistono, in cui ciascuno ha il diritto di essere se stesso, di esprimere la propria unicità senza timore. Un mondo in cui l’iperattività di un bambino diventa energia travolgente, la sua distrazione una sorgente inesauribile di creatività. Un mondo in cui non esistono esclusioni, ma solo abbracci, sorrisi e comprensione reciproca.

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Mentre la mamma si perdeva in questi pensieri, una lacrima silenziosa le solcò il viso. Quel mondo forse non esiste ancora, ma è un sogno che vale la pena coltivare, giorno dopo giorno, con parole e gesti di amore e accoglienza. E la lettera al Gazzettino non sarebbe stata solo una denuncia, ma anche un appello a riscoprire la bellezza dell’unicità di ciascuno, a superare le barriere dell’indifferenza e del giudizio affrettato. E chissà che quel piccolo gesto non possa essere un seme di cambiamento, un’onda che si diffonde lentamente ma inesorabilmente, trasformando il mondo in un luogo più aperto, più inclusivo, più umano.

Il bambino di 8 anni aveva frequentato il gruppo scout per un anno intero

Nella lettera alla redazione del Gazzettino, la mamma descrive con malinconia come il piccolo scout si fosse integrato perfettamente e avesse trovato un suo spazio nel gruppo, nonostante la sua diagnosi di ADHD, grazie alla dolcezza e alla comprensione dei suoi precedenti responsabili. Questa esperienza rappresentava per lui un raro momento di serenità, un’oasi di tranquillità in un mondo che spesso sembra incomprensibile e ostile.

Tuttavia, con il cambio dei responsabili, si è infranto quel delicato equilibrio. La mamma narra con amarezza il primo incontro con i nuovi educatori che, invece di accogliere il figlio con la stessa premura e comprensione dei loro predecessori, sembravano già predisposti a considerarlo un fastidio, un peso da sopportare. Si è assistito a un mutamento, a un passaggio da una dimensione di accoglienza e comprensione a una di disinteresse e frustrazione.

Ecco come la vita, a volte, può presentare queste brusche e imprevedibili svolte, lasciandoci smarriti di fronte a cambiamenti che sembrano ribaltare tutto ciò che avevamo costruito. Come l’arrivo di nuovi protagonisti può stravolgere i rapporti e le dinamiche consolidate, rivelando inaspettate fragilità e fallibilità umane. La mamma si interroga sulla possibilità di ritrovare quella pace e serenità che il figlio aveva trovato nel gruppo scout, e si chiede se ci sia ancora spazio per l’inclusione e l’accoglienza in un mondo che sembra sempre più ostile e disinteressato verso le diversità.

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Molte persone hanno espresso disapprovazione per il modo in cui si è comportato il bambino di 8 anni

In un mondo che sembra sempre più orientato verso l’esclusione e la separazione, i bambini che manifestano comportamenti diversi rischiano di essere emarginati senza alcuna colpa. La madre di Francesco sa bene che la diversità spaventa, ma è convinta che informarsi e formarsi su come gestire queste situazioni potrebbe portare a risultati positivi, permettendo ai bambini di sentirsi accettati e compresi.

Il caso di Francesco è un esempio lampante di come, troppo spesso, le persone vengano giudicate e allontanate senza nemmeno tentare di comprendere le loro esigenze e difficoltà. Eppure, come genitori, dovremmo imparare ad accettare le differenze e a non abbandonare i nostri figli al primo segno di difficoltà.

La frustrazione e il dolore di Francesco sono rappresentativi di tante altre situazioni simili, in cui i bambini si sentono respinti e soli a causa delle loro particolarità. Sarebbe doveroso, per l’intera comunità, impegnarsi a comprendere e supportare questi ragazzi, anziché continuare a infliggere ferite profonde che rischiano di incidere pesantemente sul loro futuro.

Spesso, le sofferenze dei bambini vengono sottovalutate o non considerate, ma è proprio nella loro fragilità che si cela la necessità di essere compresi e accolti. È compito di tutti noi agire affinché nessun altro bambino si senta escluso come Francesco, e lavorare per costruire una società più inclusiva e sensibile alle diversità di ognuno.