Laura Miola, una mamma bis in carrozzina, condivide la sua esperienza riguardo alla mancanza di attrezzature adatte per mamme disabili nei centri ospedalieri.

Laura Miola, una mamma bis in carrozzina, condivide la sua esperienza riguardo alla mancanza di attrezzature

Negli occhi di Laura Miola c’è un’ombra di tristezza, ma anche una determinazione ferma, quasi ostinata. Come molte altre persone, Laura è costretta a vivere una vita diversa da quella che aveva immaginato per sé, ma non si arrende mai. La sua storia è fatta di ostacoli e di sfide, ma anche di amore e di speranza.

Osservando Andrea spingere la carrozzina della madre, non posso fare a meno di pensare a quanto la vita sia straordinaria nel suo continuo creare e ricreare connessioni, nell’inesauribile capacità di adattamento che si manifesta sia nella madre che inventa nuovi modi di essere presente per il figlio, sia nel bambino che trova modi originali di esplorare il mondo attorno a lui.

Laura si confronta con un’identità che ha dovuto rivelare solo da adulta, e mi soffermo a riflettere sulle tante identità che ognuno di noi porta dentro di sé, molte delle quali rimangono nascoste agli altri e talvolta anche a noi stessi. È un po’ come quella malattia genetica, che si è manifestata per la prima volta quando Laura aveva solo 3 anni e che per tanto tempo è rimasta senza nome, relegata nell’anonimato. Forse ognuno di noi ha un aspetto nascosto, un “difetto genetico nel Dna” che ci rende unici e irripetibili.

La maternità è un altro tema che mi tocca profondamente. La preoccupazione di Laura di trasmettere la sua malattia ai suoi figli è una preoccupazione comune a tante madri, ciascuna alle prese con i propri fantasmi e con i propri desideri. Eppure, Laura trova la forza di andare avanti, priva della paura che la trascinerebbe nella disperazione.

La proposta di legge presentata da Laura non è soltanto un atto di coraggio e di volontà, ma anche un gesto di condivisione e di compassione verso le altre madri che si trovano nella sua stessa condizione. È un tentativo di rendere visibile ciò che troppo spesso resta invisibile, di dare voce a chi troppo spesso resta in silenzio. In fondo, la lotta di Laura è la lotta di tante altre persone che, pur nelle loro diversità, cercano di affermarsi e di essere riconosciute per ciò che sono: esseri umani degni di amore e di rispetto.

Da quanto tempo Laura si confronta con la disabilità?

Non c'è nulla di sbagliato nell'ammettere di avere bisogno di supporto, anzi, è un segno di

Era da tempo che la mia famiglia sospettava qualcosa di strano: la mia andatura incerta, le cadute frequenti, la difficoltà a tenere saldo il piede sul pedale della bicicletta. Ma sono comunque riuscito a vivere una vita quasi normale per i primi anni della mia infanzia, a giocare con gli amici e a esplorare il mondo con una curiosità incrollabile.

Poi, un giorno, sono comparse le prime stampelle, e con esse la consapevolezza che la mia condizione non sarebbe migliorata. Pian piano, le mie gambe hanno perso sempre più forza, fino a quando è diventato impossibile camminare senza aiuto. La sedia a rotelle è diventata il mio mezzo di locomozione principale, il mio mondo si è ristretto intorno a essa.

La malattia che mi è stata diagnosticata è rara, poco conosciuta e ancor meno curata. Eppure, nonostante le difficoltà fisiche, ho cercato di vivere la mia vita al meglio, di non farmi sopraffare dalla disperazione. Ho imparato a trovare nuove prospettive, a scoprire la bellezza e la gioia nelle piccole cose.

La progressione della malattia mi ha insegnato che la vita è mutevole, che niente è garantito e che spesso ci troviamo di fronte a situazioni che non possiamo controllare. Ma anche in mezzo alle sofferenze e alle limitazioni, ho imparato ad apprezzare la vita in tutta la sua complessità, a cogliere i momenti di felicità con gratitudine e a non arrendermi di fronte alle avversità.

Oggi, guardando indietro, posso dire che la malattia mi ha reso più forte, più consapevole della bellezza fugace del mondo e, in qualche modo, più capace di affrontare le sfide che la vita mi pone di fronte. E anche se il futuro è incerto, cerco di vivere ogni giorno con coraggio e determinazione, sapendo che ogni istante è un dono prezioso.

Qual è il significato di essere «una famiglia normale con una mamma seduta»?

  Qual è il significato di essere «una famiglia normale con una mamma seduta»?

Esistono famiglie in cui le regole sono ferree e famiglie in cui il caos sembra regnare sovrano, famiglie in cui le emozioni vengono espresse ad alta voce e famiglie in cui tutto è sottaciuto e silenzioso. La normalità di ognuna di queste famiglie risiede proprio nella sua unicità, nella capacità di trovare equilibrio pur nelle diversità.

Nella mia famiglia, la normalità è sempre stata un concetto mutevole, un tessuto di relazioni in continuo mutamento. Le piccole dispute e le grandi risate, le tensioni e le complicità, tutto ciò ha contribuito a plasmare la nostra normale anormalità. Eppure, è proprio in questa variegata tapestry umana che ho imparato ad apprezzare la bellezza della diversità, a riconoscere l’importanza di accettare e valorizzare le differenze.

Nella vita, come nelle famiglie, non esiste un unico modello di normalità. È proprio questa ricchezza di sfumature e di possibilità che rende la vita così straordinariamente affascinante. C’è bellezza nel caos, come c’è bellezza nell’ordine. C’è poesia nell’espressione liberamente declamata, come c’è poesia nel silenzio elusivo di ogni parola.

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La normalità non è un’entità statica da raggiungere, ma piuttosto un viaggio in continua evoluzione, un cammino nel quale siamo chiamati a abbracciare le molteplici sfaccettature dell’esistenza umana. La famiglia, nella sua multiforme normalità, è il palcoscenico nel quale impariamo le prime lezioni di questo viaggio, i primi passi verso la comprensione e il rispetto delle diversità che rendono ogni esperienza umana così straordinariamente unica.

Ti sei mai sentita impaurita dal pensiero che la disabilità potesse mettere ostacoli nel tuo desiderio di diventare madre?

 Nella mia famiglia, la normalità è sempre stata un concetto mutevole, un tessuto di relazioni

Era come vivere in una costante incertezza, un’ombra oscura che si proiettava sul mio futuro e su una delle mie aspirazioni più profonde. La maternità, così desiderata e al tempo stesso temuta, si presentava come un enigma irrisolvibile, un labirinto di paure e speranze ingarbugliate. Eppure, nonostante tutto, il desiderio pulsante di dare la vita è rimasto sempre presente, come una fiamma che arde silenziosa ma persistente.

E adesso, finalmente, l’ombra si è diradata. La luce della conoscenza ha dissipato le tenebre dell’ignoranza. La diagnosi, per quanto tardiva, è stata come il varco aperto in un muro invalicabile. E mi ha restituito la possibilità di guardare avanti con speranza e fiducia.

Ma la vita, come sempre, non si svolge in modo lineare e prevedibile. L’esplosione della felicità per la diagnosi favorevole è stata seguita da altre incertezze e sconfitte. La malattia, sebbene non trasmissibile ai miei figli, resta comunque parte di me, condizionando la mia quotidianità e le scelte che devo compiere.

E così, anche in mezzo alla gioia, si insinuano ombre di preoccupazione e dubbi. Forse è proprio questo il segreto della vita: non esiste mai una situazione definitiva, un’assoluta certezza. Ogni vittoria porta con sé nuove sfide, e ogni soluzione contiene in sé nuovi problemi da affrontare.

Ma forse è proprio in questo intreccio di luci e ombre, di gioie e paure, che si cela il mistero più profondo della vita. Accettare l’incertezza, abbracciare le sfide, e trovare la forza di andare avanti nonostante tutto. Forse è questo il miracolo più grande: non la scomparsa delle difficoltà, ma la capacità di affrontarle con determinazione e coraggio.

Durante il periodo della gravidanza e del parto, erano le strutture sanitarie e i medici adeguatamente preparati a soddisfare le esigenze delle donne in carrozzina?

Durante entrambe le mie gravidanze ho avuto la fortuna di essere seguita da due ginecologi meravigliosi, uomini di grande umanità. Anche il personale sanitario si è dimostrato gentile e premuroso. Tuttavia, ho potuto constatare quanto gli ospedali non siano adeguatamente attrezzati per accogliere donne con disabilità: mancano letti regolabili in altezza e supporti per sollevare le gambe delle donne in carrozzina. Questa carenza di attrezzature ha spinto la mia volontà fino alla Camera dei Deputati, dove ho proposto una legge a favore delle donne con disabilità.

Le donne che vivono con una disabilità, spesso si trovano ad evitare controlli medici di routine per paura di ritrovarsi in situazioni scomode all’interno degli ospedali. Il personale sanitario, purtroppo, non è sempre preparato a gestire e assistere le donne con disabilità durante le visite mediche. Personalmente, ho avuto la fortuna di poter contare sull’aiuto e il sostegno del mio marito durante queste difficoltà, ma penso spesso alle donne che si trovano sole in queste situazioni, prive di un supporto adeguato.

La mia esperienza personale mi ha portato a riflettere sulla difficile condizione in cui si trovano molte donne con disabilità, costrette a fronteggiare sfide aggiuntive nell’accesso alle cure mediche. La proposta di una legge in loro favore mi ha permesso di confrontarmi con la realtà dei diritti e delle necessità delle persone con disabilità nel contesto ospedaliero.

Come hai spiegato a Ferdinando, il tuo figlio più grande, la tua situazione di disabilità?

In una giornata di sole, mia sorella mi chiese di accompagnare i suoi figli a San Giovanni Rotondo, per visitare il santuario di Padre Pio. Non mi meraviglia che abbiano preso la mia disabilità con tanta naturalezza: da quando sono piccoli, sono abituati a vedermi muovermi con la carrozzina. Quando il più grande si ruppe il piede, non ci pensò due volte a chiedermi di prestargli la sedia, perché sapeva che la usavo per muovermi. E quando ci trovammo a San Giovanni Rotondo, dopo una lunga passeggiata, scherzavano sul fatto che io ero fortunata ad avere la sedia, mentre loro dovevano camminare. La loro innocenza e accettazione della diversità mi commuove, ma allo stesso tempo mi fa riflettere sulla semplicità con cui i bambini affrontano le cose. Forse noi adulti dovremmo imparare da loro come prendere le cose come vengono, senza fare drammi o cercare spiegazioni complicate.

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È difficile gestire la maternità quando si è su una sedia a rotelle?

La responsabilità della maternità è un compito impegnativo, in cui la capacità di chiedere aiuto diventa essenziale per preservare il benessere della famiglia. Non c’è nulla di sbagliato nell’ammettere di avere bisogno di supporto, anzi, è un segno di saggezza e consapevolezza. Ogni madre, pur dotata di una forza straordinaria, può trovarsi in situazioni in cui il sostegno degli altri diventa prezioso.

Lo stesso vale per me. Anche se ho la fortuna di poter contare su persone disposte ad aiutarmi, riconosco che c’è un tipo di sostegno che nessuno può sostituire: quello emotivo e mentale che solo una madre può offrire. La presenza empatica, l’affetto incondizionato e la saggezza acquisita dall’esperienza sono risorse preziose che solo una madre può offrire, completando e arricchendo il supporto pratico offerto da altre persone.

In fondo, la figura materna svolge un ruolo insostituibile, che va ben oltre le incombenze quotidiane. La sua presenza è un faro di amore e saggezza, che guida attraverso le difficoltà della vita e offre conforto nelle tempeste emotive. E proprio per questa unicità della maternità, è importante riconoscere l’importanza di chiedere aiuto quando necessario, senza alcun timore o vergogna.

Hai mai provato il senso di essere messa in difetto da qualcuno?

In realtà, bisogna ammettere che anche sui social, dove mi seguono numerosissime mamme, ho ricevuto una quantità non trascurabile di affetto. E di ciò sono veramente grata. Ma non posso fare a meno di notare che, in questa società, la ricerca di conferme e apprezzamenti sui social media sembra essere diventata una costante nelle vite di molti. Sempre in cerca di approvazione e riconoscimento, ci si trova a misurare il proprio valore in base al numero di like e condivisioni. Eppure, l’affetto autentico non si misura in clic, ma si manifesta attraverso gesti concreti di supporto, comprensione e vicinanza. In un’epoca in cui la nostra vita sembra essere sempre più connessa virtualmente, è importante non dimenticare l’importanza della vera relazione umana, fatta di empatia e condivisione reale.

Qual è stata l’esperienza di tuo marito nel vivere con la tua disabilità?

Da quando avevo 12 anni, la presenza di lui è stata costante nella mia vita. Nonostante la mia condizione, lui ha scelto di restare al mio fianco. In effetti, in un momento particolare, gli dissi: “Dovresti decidere cosa vuoi dalla tua vita, se questo è ciò che desideri”. Ma lui, con fermezza, mi rispose: “Con te divento una persona migliore”. Nella vita, ciò che conta è affrontare insieme le sfide e i momenti difficili, quando tutto sembra perfetto e senza intoppi. Quando ci fu la notizia che avremmo potuto avere figli sani, nonostante la mia condizione, lui mi confessò: “La notizia mi rende felice, ma anche se le cose fossero andate diversamente, sarei stato al tuo fianco comunque”. È forse questa l’affermazione più bella che potesse farmi.

La vita è fatta di scelte e di incertezze, ma la presenza di qualcuno che ti sostiene incondizionatamente può rendere tutto più sopportabile. In fondo, l’amore vero è questo: la capacità di essere presenti e fianco a fianco anche di fronte alle avversità. Sono storie come queste che ci mostrano come l’amore possa davvero superare qualsiasi ostacolo, anche quando sembra che il destino sia avverso.

L’Italia è in grado di fornire servizi adeguati per sostenere le famiglie con membri disabili?

La strada che si snoda davanti a noi è come un labirinto che si dispiega in mille direzioni, un percorso fatto di ostacoli e di scoperte, di salite e di discese. Eppure, non posso dire che sia un percorso privo di senso, perché anche quando sembra che non ci sia alcuna direzione, siamo comunque in movimento, stiamo progredendo giorno dopo giorno.

Quando penso a quindici anni fa, mi accorgo di quante cose siano cambiate nel frattempo. Così tante nuove opportunità e possibilità si sono aperte, cose che un tempo non avremmo mai immaginato possibili. Eppure, non voglio trasmettere la sensazione che nulla cambi davvero, che tutto rimanga immutato. Anche se le sfide sono ancora molte, anche se forse non siamo ancora arrivati dove vorremmo essere, c’è comunque un movimento, un’evoluzione che non possiamo ignorare.

Sono ottimista e credo che le cose stiano andando avanti. C’è una maggiore consapevolezza e attenzione verso il tema della disabilità, un cambiamento di prospettiva che mi riempie di fiducia. È come se pian piano, passo dopo passo, stessimo aprendo nuove strade, superando vecchi pregiudizi e aprendo le porte a una maggiore inclusione e comprensione.

E così, anche se La strada è ancora lunga, non posso fare a meno di nutrire la speranza che il cammino che stiamo percorrendo ci porterà a un luogo migliore, a un mondo in cui le diversità non siano più motivo di emarginazione, ma fonte di arricchimento e di valore.

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Quali nuovi elementi sono stati introdotti rispetto a quelli precedenti?

Le barriere architettoniche, un tempo ignorate o trascurate, stanno piano piano diventando oggetto di maggiore considerazione. Se è vero che l’obbligo di dotare ogni spiaggia di una passerella per consentire a tutti di accedervi è una novità, non possiamo dire che tutto sia stato risolto. Ancora oggi mi capita di giungere in luoghi dove i gradini ostacolano il mio cammino, un’imprevisto che mi fa sentire diversa dagli altri, esclusa da un privilegio di cui godono gli altri. Tuttavia, non posso negare di percepire una maggiore attenzione verso queste problematiche.

Questa maggiore consapevolezza può essere vista come un passo avanti, ma la presenza di barriere architettoniche ancora presenti in molti luoghi evidenzia quanto ancora ci sia da fare per rendere l’ambiente accessibile a tutti. La lotta contro le barriere architettoniche non riguarda solo la fisicità degli ostacoli, ma anche l’atteggiamento mentale delle persone nei confronti di chi vive con disabilità. Il superamento di queste barriere richiede un cambiamento culturale che vada oltre la semplice eliminazione degli ostacoli materiali.

Anche la mia esperienza personale mi ha portato a riflettere su quanto sia insidioso il sentimento di esclusione che si prova di fronte a una barriera architettonica. È un segnale, un ostacolo tangibile, ma soprattutto un simbolo di una mentalità che ancora troppo spesso non tiene conto delle diversità. L’eliminazione delle barriere architettoniche non riguarda soltanto le persone con disabilità, ma è un passo verso una società più inclusiva e rispettosa delle differenze.

Il viaggio verso la piena accessibilità è ancora lungo, ma è un percorso che ci riguarda tutti. Ogni passo verso la rimozione delle barriere architettoniche è un passo verso una società più equa e accogliente per tutti.

Nel corso del 2024, sei stata selezionata per ricoprire il ruolo di delegata del tuo Comune nelle politiche di inclusione sociale. Qual è il motivo principale per cui desideri condividere la tua esperienza e la tua situazione attuale?

Mi piace immaginare che ogni singolo individuo abbia la possibilità di lasciare un segno, anche minimo, nella tessitura della società. La mia esperienza personale mi suggerisce che ognuno di noi può offrire il proprio contributo, con un gesto, una parola, un’idea. Quando ho accettato l’incarico dal sindaco, mi ha chiesto di svolgere un compito particolare: aiutare a individuare le mancanze che forse sfuggivano al suo sguardo, proprio perché il mio punto di vista, da persona su sedia a rotelle, offriva una prospettiva diversa. È stato un impegno che ho assunto con serietà e che ho cercato di portare avanti con tutta la mia energia e il mio entusiasmo. Ma anche se oggi non rivesto più quel ruolo ufficiale, mi sento comunque vicino alla comunità e disponibile a offrire il mio aiuto, nella misura delle mie possibilità. Forse è proprio questo il bello della vita: sentirsi parte di qualcosa di più grande di noi stessi, e avere l’opportunità di contribuire al benessere collettivo, anche solo con un piccolo gesto di generosità.

Quali sono gli elementi che ancora mancano per rendere una società “disability friendly”?

In un mondo ideale, non esisterebbe la necessità di definire un luogo o un servizio come “disability friendly”, perché l’inclusione sarebbe un concetto implicito in ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Ma purtroppo, la realtà è ben diversa. Ancora oggi, le persone con disabilità devono affrontare sfide quotidiane per poter partecipare pienamente alla vita sociale, economica e culturale.

La visione di un parco progettato con un’ottica inclusiva rappresenta un obiettivo ambizioso, ma necessario. Un parco concepito per accogliere e soddisfare le esigenze di tutti, indipendentemente dalle loro capacità fisiche, sarebbe un segno tangibile di progresso verso una società veramente inclusiva. Ma la sfida più grande non è solo quella di adattare gli spazi fisici, ma di cambiare mentalità e percezioni radicate nella nostra cultura.

La disabilità non dovrebbe essere vista come un’eccezione, ma come parte integrante della diversità umana. Ogni individuo, indipendentemente dalle proprie capacità fisiche, ha il diritto di essere pienamente incluso nella società. Solo quando abbracceremo la diversità come un valore e non come un peso da integrare, avremo compiuto veri passi avanti verso un mondo davvero inclusivo.