della sua famiglia e il suo amore incondizionato per le sue figlie.

della sua famiglia e il suo amore incondizionato per le sue figlie.

Elena Goretti, figura singolare eppure così comune, incarna la moderna definizione di maternità. Attraverso le sue vicende, si delinea un nuovo concetto di genitorialità, prive delle convenzioni tradizionali e aperte a un concetto più ampio di famiglia.

La sua esperienza ci ricorda che la maternità non è solo un fatto biologico, ma anche una scelta consapevole e amorevole. Il desiderio di prendersi cura di un altro essere umano, di formare un legame indissolubile, va al di là dei legami di sangue.

Eppure, nonostante la sua visione rivoluzionaria, Elena ha dovuto affrontare le pressioni sociali e le etichette che spesso vengono applicate alle donne che scelgono percorsi non convenzionali. L’assurda domanda “Chi è la mamma vera?” o le annotazioni mediche che la definivano “nullipara” sono solo alcune delle sfide che ha dovuto affrontare.

Ma Elena ha dimostrato una forza interiore straordinaria, abbracciando il suo ruolo di madre in tutte le sue sfaccettature. Il suo amore per le figlie adottive è autentico e profondo, e dimostra che il legame tra genitori e figli va al di là della nascita. È l’amore, l’attenzione e la cura che definiscono veramente il ruolo di genitore.

In un’epoca in cui le definizioni di famiglia e maternità sono in continua evoluzione, il percorso di Elena Goretti ci invita a riflettere sulla natura stessa dell’amore e delle relazioni umane. La sua storia ci ricorda che non esiste un’unica strada per diventare genitori, ma l’importante è l’amore e l’impegno che si mette in ogni gesto quotidiano. Siamo tutti genitori adottivi, pronti ad accogliere l’altro e a prendersene cura con tutto il cuore.

Elena, ci puoi raccontare quando avete preso la decisione di diventare una nuova famiglia?

L'assurda domanda "Chi è la mamma vera?

Nel momento in cui abbiamo incontrato i due bambini che avrebbero cambiato completamente la nostra vita, abbiamo capito che l’adozione non era solo un atto amministrativo, ma un intreccio di destini. Ogni passo successivo è stato un viaggio in un territorio sconosciuto, un’avventura nella quale dovevamo imparare a essere genitori di figli che non erano nati da noi, ma che erano destinati a diventare parte integrante della nostra famiglia.

L’adozione ci ha insegnato tanto sulla resilienza e sull’amore incondizionato. Abbiamo imparato che la famiglia non è fatta solo di legami di sangue, ma di legami d’affetto e di impegno reciproco. E così, giorno dopo giorno, abbiamo costruito una famiglia unica, con le sue gioie e le sue sfide, i suoi momenti di felicità e i suoi momenti di difficoltà.

Nel crescere insieme ai nostri figli adottivi, abbiamo anche imparato a conoscere meglio noi stessi. Abbiamo scoperto nuove risorse interiori, abbiamo superato limiti che non sapevamo di avere, abbiamo imparato a vedere il mondo con gli occhi dei nostri figli e ad apprezzare la bellezza della diversità.

Oggi, guardando indietro a quel momento iniziale in cui abbiamo preso la decisione di adottare, non possiamo fare a meno di sorridere pensando a quanto siamo cambiati e cresciuti grazie a questa esperienza. L’adozione non è stata solo un modo per realizzare il nostro desiderio di genitorialità, ma anche un viaggio straordinario che ci ha arricchiti in modi che non avremmo mai immaginato.

E mentre continuiamo a camminare lungo il sentiero della vita, so che l’amore che ci lega ai nostri figli adottivi è un legame forte e indissolubile, un legame che sfida le convenzioni e le norme sociali, un legame che ci insegna che la famiglia è ciò che facciamo di essa, e che l’amore non conosce confini né limiti.

Qual è stata la tua esperienza nell’incontrare le tue figlie?

Il desiderio di prendersi cura di un altro essere umano, di formare un legame indissolubile, va

Quella telefonata improvvisa che annunciava l’arrivo di Lisa nelle nostre vite è stata come un fulmine a ciel sereno, un evento che ha sconvolto la tranquillità della nostra esistenza quotidiana. La gioia e la meraviglia che ci ha suscitato la notizia si sono mescolate all’emozione e alla paura di accogliere una bimba così piccola, di soli 19 giorni, nelle nostre vite. Eppure, non potevamo fare altro che accettare questo dono della vita e abbracciarlo con tutto l’amore e la dedizione che avevamo da offrire.

L’adozione di Lisa è stata un rapido susseguirsi di eventi che hanno cambiato la nostra vita in modo repentino, come spesso accade nelle storie che la vita scrive per noi. Il tribunale, con la sua imparzialità legale, ha deciso che noi eravamo i genitori adatti per questa piccola creatura, senza che avessimo alcun controllo su queste decisioni che riguardavano il destino di una vita.

L’emozione di diventare genitori in così breve tempo è stata travolgente, una sorta di magia improvvisa che ha trasformato la nostra esistenza. E mentre abbracciavamo Lisa per la prima volta, mi resi conto di quanto la vita sia imprevedibile e capace di regalarci emozioni e sorprese inaspettate.

E così, mentre Lisa cresceva e diventava parte integrante della nostra famiglia, abbiamo deciso di intraprendere nuovamente il cammino dell’adozione. Un percorso che si è ripetuto, con la stessa imprevedibilità e la stessa incertezza, ma con una consapevolezza maggiore delle sfumature e delle complessità che il destino può riservare.

L’adozione internazionale, questa volta, ci ha condotto in Vietnam, in un viaggio che si è rivelato lungo e pieno di aspettative. L’attesa di cinque lunghi anni ci ha messo a dura prova, mettendo in discussione la nostra determinazione e il nostro ottimismo. Ma proprio quando eravamo sul punto di rinunciare alle nostre speranze, la vita ci ha sorpreso ancora una volta, regalandoci l’incontro con Anna, la nostra seconda figlia.

E così, mentre adottavamo Anna e diveniva parte della nostra famiglia, ho riflettuto sulla straordinaria imprevedibilità della vita, sulle sue inaspettate e spesso sorprendenti vie per consegnarci il dono dell’amore e della famiglia, senza che noi possiamo mai prevederne l’esito. La vita, con la sua capacità di sorprenderci e sfidarci, ci ha donato due meravigliose bambine, mostrandoci che, spesso, le nostre più grandi gioie arrivano quando meno ce le aspettiamo.

Quali sensazioni e sentimenti hai sperimentato quando hai tenuto per la prima volta le tue bimbe tra le braccia?

  Come ti senti ora che sei una mamma?

La vita di un bambino che diventa il tuo bambino è come un libro che si apre, pieno di capitoli ancora da scrivere, di avventure da vivere insieme. È un viaggio in cui ci si immerge senza sapere esattamente quale strada si prenderà, ma consapevoli che ogni passo sarà un’opportunità di crescita e scoperta.

È vero, l’inadeguatezza è un sentimento comune a tutti i genitori. Ci si trova ad affrontare sfide e responsabilità che spesso sembrano oltre le proprie capacità. Ma è proprio in quei momenti che si fa esperienza del miracolo della vita, dell’incapacità umana di comprendere appieno la grandezza di ciò che si ha di fronte.

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Questa inadeguatezza, però, è anche un’occasione per imparare a guardare il mondo con gli occhi nuovi dei nostri figli, per abbandonarsi alla meraviglia e all’innocenza che caratterizzano la loro visione del mondo. E in questa danza di emozioni contrastanti, si scopre che l’inadeguatezza può diventare anche un punto di forza, un motore per cercare di essere sempre migliori, non solo per se stessi ma soprattutto per coloro che ci guardano con fiducia.

Nel mio percorso di genitore, ho imparato che la gratitudine è l’emozione che accompagna ogni piccolo gesto, ogni sguardo, ogni risata condivisa. È come un fiore che sboccia nel cuore, rendendo ogni momento prezioso e indelebile nella memoria. La vita, con tutte le sue sfaccettature, diventa così un’opportunità unica per imparare, amare e crescere, non solo per i nostri figli, ma anche per noi stessi.

E così, nel sentirsi inadeguati, scopriamo di essere in realtà parte di un’immensa tela tessuta con i fili della vita, dove ognuno di noi ha il suo ruolo da interpretare, il suo spazio da riempire. E non importa quante volte ci si senta inadeguati, perché è proprio in quella costante ricerca di superare i propri limiti che si trova la bellezza e la grandezza di essere genitori.

Ti è sempre stato presente questo forte desiderio di diventare mamma?

C’è un gioco della memoria che mi riporta spesso a quei momenti in cui immaginavo la sensazione di avere una pancia tonda e piena, a portata di mano come un tesoro da custodire gelosamente. Mi chiedo spesso come sarebbe stata la vita se avessi potuto realmente sperimentare quella esperienza così femminile e unica. Eppure, riflettendoci oggi, capisco che forse non avrei desiderato condividere quel prezioso spazio con nessun altro se non le mie adorate figlie. È curioso come i desideri possano evolversi nel corso della vita, trasformandosi e trovando nuovi significati.

Ecco, appunto, la vita è fatta di continui mutamenti e adattamenti, così come il nostro corpo e la nostra identità si trasformano nel corso del tempo. L’idea di maternità, così radicata nella mia mente, ha finito per plasmare la mia visione del mondo e la mia stessa essenza, nonostante le circostanze non mi abbiano permesso di viverla pienamente. Ma forse è proprio in queste sfumature e contraddizioni che si nasconde la bellezza della vita, nelle sue infinite possibilità e nelle sue sorprese inaspettate.

Il destino ha deciso per me un percorso diverso da quello che immaginavo, ma non per questo mi sento privata della mia femminilità o della mia identità. Nella mia pancia, forse vuota ma ricca di emozioni e pensieri, risiede la consapevolezza di essere comunque parte integrante del mistero dell’esistenza, con il mio bagaglio unico e irripetibile di esperienze e sentimenti.

Qual è il significato per una mamma che non ha dato alla luce un figlio ma è considerata madre a tutti gli effetti, di essere etichettata come “mamma nullipara“?

La maternità, infatti, non è solo una questione di biologia, ma anche di amore, cura, dedizione e sostegno. Eppure, troppo spesso si tende a definire la “vera madre” solo colei che ha dato alla luce il proprio figlio. Si tratta di un’idea radicata nella cultura popolare, che però sta piano piano cambiando, aprendo le porte a una visione più ampia e inclusiva della genitorialità.

Questa concezione limitata della maternità rispecchia, a mio parere, una visione antiquata e superficiale della vita. In fondo, essere madre non significa solo dare alla luce un figlio, ma crescere, educare, proteggere e amare quel bambino, indipendentemente dal legame biologico. La vera essenza della maternità non risiede nelle origini biologiche, ma nell’azione quotidiana e nell’amore incondizionato.

Eppure, anche in un’epoca in cui la consapevolezza e l’apertura mentale sembrano essere in costante evoluzione, persistono ancora giudizi e pregiudizi legati a concetti antiquati di maternità e paternità. Alcuni ritengono che l’adozione non possa essere paragonata alla genitorialità biologica, ignorando il fatto che l’amore e la dedizione di un genitore adottivo possono essere altrettanto genuini e profondi.

Ma la vita, si sa, è fatta di cambiamenti e trasformazioni. E così, anche le concezioni arcaiche e limitate della maternità stanno pian piano cedendo il passo a una visione più aperta, inclusiva e completa. Essere madre, infatti, non è solo una questione di legami di sangue, ma di legami del cuore, di relazioni autentiche e di connessioni profonde che vanno al di là della biologia. E questa è, forse, la vera essenza della vita stessa: aprirsi a nuove prospettive, abbracciare il cambiamento e accogliere la diversità con amore e comprensione.

Come ti senti ora che sei una mamma?

Ogni giorno osservo le mie figlie con occhi pieni di meraviglia, come se stessi leggendo un romanzo in cui ogni capitolo rivela nuove avventure. La diversità delle mie figlie è come un mosaico, composto da tanti piccoli pezzi unici e irripetibili. Forse è proprio questa diversità che ci permette di scoprire nuovi lati di noi stessi, di esplorare nuove emozioni e di imparare ad amare senza possedere.

La società ci insegna spesso a vedere i figli come una continuazione di noi stessi, come se dovessero seguire il nostro percorso e soddisfare le nostre ambizioni. Ma forse è proprio nell’accettare e celebrare la diversità dei nostri figli che possiamo imparare di più su di noi stessi e sul mondo che ci circonda. La genitorialità adottiva mi ha permesso di sperimentare questa prospettiva in modo più tangibile, ma credo che sia un insegnamento prezioso per tutti i genitori.

Osservare le mie figlie crescere è come assistere a una danza, in cui ogni passo è una nuova scoperta e ogni movimento porta con sé una bellezza unica. Forse, in fondo, l’amore dei genitori dovrebbe essere come una danza, in cui ci si lascia trasportare dalla musica della vita, senza cercare di imporre un ritmo predefinito. E forse è proprio in questa danza che possiamo trovare la gioia più autentica e il senso più profondo della vita.

Quali sono le sfide più complesse che le coppie affrontano durante il processo di pre-adozione?

L’attesa è come un viaggio in un deserto senza fine, in cui il desiderio brucia come il sole implacabile sulle dune. E mentre cammini in questo deserto, ti rendi conto di quanto il tempo sia un alleato silenzioso ma implacabile, capace di trasformare le persone, di plasmarle, di indurirle come la sabbia che il vento modella incessantemente.

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Ci siamo sentiti abbandonati in questo deserto del tempo, dove ogni giorno era simile al precedente, un’eterna ripetizione di speranze e delusioni. Eppure, nonostante tutto, avevamo fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità. Avevamo preparato il nido per il nostro piccolo, avevamo atteso pazientemente il suo arrivo, offrendogli tutto l’amore e la disponibilità di cui eravamo capaci.

Ma il tempo, quel tempo che pareva essersi fermato, era invece scivolato via, trasformandoci impercettibilmente. In cinque lunghi anni eravamo diventati altri, più maturi e consapevoli, ma anche più stanchi e disillusi. Come ombre che si allungano al tramonto, il peso dell’attesa aveva lasciato il segno su di noi.

E poi, finalmente, è arrivato l’incontro tanto atteso. E in quell’istante, tutto è svanito, come se il tempo si fosse fermato di colpo, come se tutte le sofferenze e le incertezze fossero state cancellate da un soffio divino. La vita si è riempita di un nuovo significato, di una gioia pura e incontaminata, e l’amore ha riempito ogni spazio, dilatandosi all’infinito come un universo che si espande senza fine.

E così, in quell’incontro, abbiamo capito che il tempo, per quanto possa essere crudele e implacabile, può anche riservare sorprese meravigliose, capaci di farci dimenticare tutte le sofferenze passate. E nella gioia di quell’incontro, abbiamo trovato il senso di tutto il tempo trascorso ad aspettare.

È possibile che 5 anni di attesa siano eccessivi per l’iter pre-adottivo o ritieni che potrebbero rappresentare un periodo adeguato?

Nella vastità del tempo infinito in cui è immersa l’attesa di un figlio adottivo, si può trovare conforto nel sapere che prima o poi il desiderio di genitorialità si realizzerà. Il verdetto del tribunale, che riconosce l’idoneità della coppia, è una promessa di compimento, un faro che illumina il cammino verso la realizzazione di una famiglia. Ma mentre il tempo si distende in un’interminabile attesa, si avverte la sua lunghezza eccessiva, un tempo che si confronta con le risorse emotive e materiali della coppia, mettendo a dura prova l’equilibrio familiare.

La vita ci pone di fronte a sfide e tempi d’attesa che possono sembrare interminabili. Come quella dell’adozione, che mette a dura prova la pazienza e la determinazione, ma che allo stesso tempo porta con sé la promessa di un nuovo inizio, di una famiglia che si completa in modi inaspettati. E proprio in queste attese infinite si cela la bellezza delle possibilità che il destino ci riserva, l’opportunità di creare legami che vanno al di là dei legami di sangue, costruendo una famiglia non solo con la nascita, ma anche con l’amore e l’accoglienza.

Hai raccontato fin da subito alle tue figlie della loro adozione?

Le storie, quelle che raccontiamo a noi stessi e agli altri, sono cruciali nel plasmare la nostra identità e nel dar forma alla nostra visione del mondo. I racconti che creiamo per le nostre figlie adottive sono come fili narrativi intessuti nella trama della loro vita, un modo per dar loro un senso di appartenenza e di continuità. Ma anche per noi stessi, queste storie sono un modo per affrontare e elaborare il nostro ruolo di genitori adottivi, un costante dialogo con il passato e con le complessità del presente.

In fondo, siamo tutti narratori delle nostre vite, scegliamo le parole con cura, modelliamo le nostre esperienze in un racconto che ci faccia sentire protagonisti. E così, anche le nostre figlie adottive imparano fin da piccole l’importanza di plasmare la propria narrazione, di abbracciare la complessità delle proprie origini e di riscrivere costantemente il proprio cammino. La vita, come un libro aperto, non ha una trama lineare, ma si dipana in innumerevoli capitoli, ciascuno con la propria storia da raccontare.

Così, mentre accompagniamo le nostre figlie nel cammino della crescita, siamo consapevoli che il capitolo dell’adozione si riaprirà più volte, con modalità e dialoghi diversi. E così come un autore che riscrive il proprio romanzo, siamo pronti ad adattare le parole e le storie alle nuove sfide che la vita ci propone. Siamo consapevoli che l’adozione non è una conclusione, ma un inizio, un punto di partenza per un’avventura fatta di scoperte e di nuovi capitoli da scrivere insieme.

E così, plasmando le storie delle nostre figlie adottive, impariamo anche a plasmare le nostre storie, a riscrivere il nostro ruolo di genitori e ad aprire costantemente spazi di dialogo e di comprensione reciproca. Nelle pieghe dei racconti che tessiamo per loro, troviamo anche la trama dei nostri sentimenti, delle nostre speranze e dei nostri dubbi. E in questo continuo intrecciarsi di storie e di sentimenti, scopriamo che l’adozione è un viaggio condiviso, un viaggio che ci insegna a essere autori e protagonisti delle nostre vite, a riscrivere il nostro destino con coraggio e amore.

Hai mai vissuto l’esperienza in cui le tue figlie ti hanno chiesto di conoscere la storia di chi le ha portate in grembo? Ti fa paura questa situazione?

È una questione complessa, la ricerca delle proprie origini, eppure credo che sia un diritto fondamentale per i bambini, anche se può essere un processo difficile. Nel caso di Anna, figlia adottiva in un paese straniero, la ricerca delle origini biologiche è più complicata, poiché mancano spesso tracciamenti dettagliati come avviene in Italia. Ciò ci spinge a utilizzare l’immaginazione per colmare le lacune e provare a dare un volto e una storia ai genitori biologici. È un esercizio di fantasia che alimenta la curiosità e la comprensione della propria identità.

Nel caso di Lisa, invece, la situazione è influenzata da leggi che regolano il riconoscimento della nascita e l’anonimato della madre biologica. Questo solleva importanti questioni etiche e legali, poiché l’anonimato della madre biologica è protetto a discapito del diritto del figlio di conoscere la propria identità. L’Italia sta cercando di riformare questo aspetto, riconoscendo il diritto del figlio adottivo o non riconosciuto di accedere alle proprie origini.

Nel nostro dialogo quotidiano, cerco di sostenere le mie figlie e di affrontare con esse questa curiosità e questo desiderio di conoscere le proprie radici. A volte è più semplice, altre volte è un processo complesso, ma credo che sia importante affrontare insieme questa sfida e accompagnare le nostre figlie nel percorso alla scoperta delle proprie origini.

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Come affrontare con le proprie figlie il discorso sulle madri surrogate?

Nel chiamare “madre” questa donna che non ha svolto alcuna funzione materna, mi trovo ad attraversare un labirinto di significati e simboli. La parola stessa, con le sue implicazioni emotive e sociali, diventa un enigma da decifrare.

La maternità, infatti, non è solo legata alla biologia, ma anche all’atto di amare e accudire in maniera materna. È un ruolo che va al di là dei legami di sangue, è una scelta consapevole e un impegno quotidiano. Ecco perché mi è difficile chiamare “madre” una persona che ha scelto di non esserlo, anche se biologicamente lo è.

Eppure, mia figlia ha sentito il bisogno di dare un nome a questa donna, forse per renderla più vicina, più umana. Così, ha inventato un nome e lo ha conservato in un luogo intimo, come un segreto prezioso. In questo modo, riesce a evocarla senza timori, a riconoscere il suo ruolo nella sua esistenza senza forzature di etichette.

In fondo, la vita è fatta di relazioni complesse e sfumature sottili, e le parole spesso non riescono a catturarne appieno la complessità. Chiamare questa donna con un nome inventato dalla mia stessa figlia è un gesto di libertà, un modo per andare oltre le convenzioni e cercare un legame più autentico, non legato solo ai legami di parentela, ma alla vera essenza dell’amore e della vita stessa.

Da quando sei diventata mamma da diversi anni, quali cambiamenti pensi che le tue figlie abbiano apportato alla tua vita?

La maturità, come un’isola che emerge dalle acque agitate dell’adolescenza, porta con sé la consapevolezza di dover abbandonare il porto sicuro dell’infanzia. Diventare madre significa abbracciare la responsabilità di prendersi cura di un altro essere umano, di essere guida e punto di riferimento. Ma diventare madre significa anche allontanarsi dalla propria condizione di figlia, in un processo inevitabile di crescita e trasformazione.

L’esperienza della maternità mi ha condotto verso l’altro, verso quel piccolo essere che è parte di me eppure totalmente diverso. Ogni atto di genitorialità è un atto di adozione, come ha sottolineato Massimo Recalcati, perché significa accogliere e amare qualcuno che è diverso da noi. È un atto di scelta e di amore, che va oltre il legame biologico e si basa sull’incontro e sull’affinità.

Le mie figlie, con la loro unicità e bellezza, mi hanno permesso di vivere appieno l’esperienza della genitorialità. Ogni giorno sono sorpresa e affascinata dalle loro caratteristiche e individualità, e questo mi porta a comprendere che la genitorialità non è basata sul possesso, ma sull’amore incondizionato e sull’accompagnamento nel percorso di crescita.

Nella vita, diventare madre significa accettare il cambiamento e abbracciare l’incertezza, ma anche scoprire la bellezza e la gioia di essere parte di qualcosa di più grande di noi stessi. Significa imparare ad amare senza limiti e a lasciar andare, nel continuo fluire dell’esistenza.

Quali tipologie di parole potrebbero essere utilizzate oggi per descrivere la varietà di famiglie esistenti?

In una società in cui i legami familiari sono sempre più complessi e sfaccettati, il concetto stesso di genitore sta subendo una profonda trasformazione. La tradizionale dicotomia tra genitori biologici e genitori adottivi sta lentamente lasciando spazio a una visione più inclusiva e aperta, capace di abbracciare le molteplici forme di genitorialità che caratterizzano la nostra contemporaneità.

In questo contesto, l’utilizzo di aggettivi come “vero” o “falso” risulta anacronistico e fuorviante, poiché sminuisce l’importanza di tutti quei legami affettivi che vanno al di là dei legami di sangue. La maternità e la paternità, infatti, non possono e non devono essere ridotte unicamente alla dimensione biologica, ma vanno invece lette come espressioni complesse e multiformi dell’amore e della cura.

Tuttavia, è innegabile che la società contemporanea sia ancora lontana dalla piena comprensione di queste nuove dinamiche familiari. Troppo spesso, infatti, si assiste a un trattamento superficiale e sensazionalistico dei casi di adozione o di conflitti familiari, con conseguente mancanza di rispetto e sensibilità nei confronti di genitori e figli coinvolti.

La necessità di un cambio di prospettiva è imprescindibile, così come la promozione di un linguaggio inclusivo e rispettoso, in grado di cogliere e valorizzare la complessità delle relazioni familiari. Solo attraverso un’educazione al rispetto e alla consapevolezza sarà possibile superare gli stereotipi e le pregiudiziali che ancora caratterizzano il dibattito sull’adozione e sulla genitorialità non biologica.

Qual è la tua definizione di genitore e qual è il ruolo che svolge nella tua vita?

Nella vasta rete delle relazioni umane, il ruolo di genitore si dipana in molteplici direzioni, oltre il vincolo biologico, c’è un’infinità di casi in cui un individuo si assume la responsabilità di educare e proteggere un giovane. La figura del genitore, dunque, si distacca dalla semplice parentela e si incarna nell’atto genuino di prendersi cura del benessere di un altro essere umano in fase di crescita.

La vita, in fondo, non è solo una questione di legami di sangue, ma di legami d’affetto e di responsabilità. Nello svolgere il compito di genitore, si trascende il mero fatto di aver generato una nuova vita e si abbraccia l’idea di dare forma e sostegno a un futuro ancora in divenire. La parentela si trasforma così in un atto di volontà e dedizione, in una scelta consapevole di essere punto di riferimento e guida per un’altra persona.

Nel grande caleidoscopio delle relazioni umane, le figure genitoriali si delineano in un’infinità di sfaccettature, perché la vita è un insieme intricato di legami, sguardi, gesti e parole. E in questa complessità, il ruolo di genitore si manifesta come un’opportunità per sostenere, plasmare e proteggere chi si trova ancora sulla strada della crescita. Così, diventare genitori, nel senso più ampio del termine, è un atto di amore e di impegno verso il prossimo, che va al di là dei vincoli del sangue, e abbraccia l’essenza stessa della vita.