Il 40% dei bambini in Italia ha subito violenza sportiva, secondo i risultati della prima indagine sull’abuso nei contesti sportivi.

Nella vasta pianura delle statistiche, emerge un dato preoccupante: il 39% dei giovani adulti italiani, tra i 18 e i 30 anni, che hanno praticato sport in età giovanile, dichiara di aver subito forme di violenza. È come se, mentre si correva verso il traguardo, qualcuno tendesse un laccio invisibile per far inciampare il corridore. E queste forme di violenza, come pugni invisibili, colpiscono non solo il corpo ma anche l’anima, lasciando cicatrici profonde.

Lo sport, quel terreno sacro dove si coltivano valori e forza d’animo, diventa talvolta teatro di abusi e violenze che minano la fiducia e il benessere dei giovani atleti. Si dovrebbe gridare “Fermi tutti!” su questo campo di gioco, e invece troppo spesso si fa finta di nulla, si chiudono gli occhi di fronte a comportamenti che andrebbero denunciati e combattuti.

Le statistiche raccontano storie di violenza psicologica, fisica, sessuale, e anche di negligenza. E dietro a queste storie ci sono volti di ragazze e ragazzi che cercano nel mondo dello sport un rifugio, un’occasione di crescita e socializzazione. Troppo spesso, però, si trovano di fronte a dinamiche perverse, a un’oscurità che si insinua tra i raggi del sole e la superficie dell’acqua delle piscine. Si ritrovano a lottare non solo contro avversari sportivi, ma anche contro l’ingiustizia e l’abuso di potere.

E c’è anche una differenza di genere, una sorta di disparità di trattamento che riflette dinamiche sociali più ampie. I ragazzi sono più esposti alla violenza fisica e psicologica, mentre le ragazze subiscono più spesso forme di negligenza e vengono messe sotto pressione per raggiungere standard irrealistici di performance e di aspetto fisico. È come se, mentre si correva verso il traguardo, qualcuno tirasse indietro con forza il laccio della discriminazione di genere.

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E a perpetrare questi abusi non sono solo i bulli di squadra, ma anche gli stessi allenatori, coloro che dovrebbero essere modelli di guida e sostegno. È come se, mentre si correva verso il traguardo, ci si accorgesse che le linee guida della correttezza e del rispetto vengono disattese proprio da coloro che dovrebbero difenderle.

Eppure, nonostante tutto, lo sport rimane un campo di battaglia in cui è possibile combattere queste ingiustizie e costruire un futuro diverso. Bisogna fare appello a tutte le forze della società, dalle istituzioni alle famiglie, affinché si crei un clima di trasparenza e sicurezza negli ambienti sportivi. E bisogna dare voce a chi ha subito abusi, ascoltare le loro storie e imparare da esse.

Soprattutto, bisogna educare i giovani atleti a riconoscere e denunciare la violenza, a non accettarla come parte inevitabile del percorso sportivo. Bisogna insegnare loro che la vera vittoria non si conquista a discapito degli altri, ma nella correttezza e nel rispetto reciproco. E forse, un giorno, in quel vasto stadio della vita, sarà possibile vincere non solo sul campo, ma anche contro l’ombra della violenza che minaccia di offuscare lo splendore dello sport.