Silvia Salis decide di dare al figlio solo il suo cognome materno. Qual è la prassi in Italia?

Silvia Salis decide di dare al figlio solo il suo cognome materno. Qual è la prassi

Nei nomi dei bambini si delinea una geografia familiare, una mappa genetica e sociale che si perpetua attraverso le generazioni. Ma quale peso dare al cognome paterno e quale alla linea materna?

Questa decisione, che può sembrare solo una formalità, in realtà racchiude in sé questioni di identità, trasmissione di valori e potere simbolico. La conquista di poter scegliere liberamente il cognome da attribuire al proprio figlio è una svolta significativa, che sposta l’asse delle relazioni familiari e riconosce l’importanza del ruolo materno al di là delle convenzioni sociali.

Nella società contemporanea, le persone cercano sempre più di sfuggire alle etichette e agli schemi preconfezionati, di affermare la propria individualità anche attraverso scelte linguistiche e simboliche. E la scelta del cognome per il proprio bambino diventa un gesto di ribellione contro una regola imposta e di affermazione della libertà individuale.

Ma al di là di queste considerazioni, c’è da chiedersi quali effetti avrà questa libertà di scelta sui bambini che ne beneficeranno. Forse un giorno, cresciuti in un mondo in cui il peso dei cognomi non è predeterminato, potranno guardare indietro e leggere nelle proprie radici un intreccio di storie e personalità, senza subire l’ombra di un’unica figura genitoriale dominante.

E così, la piccola decisione di dare al figlio il cognome materno diventa un atto di ribellione e di speranza, un segno della volontà di costruire un futuro diverso, in cui le identità non siano vincolate da regole obsolete o convenzioni sociali.

Silvia Salis racconta la storia di come ha scelto il cognome per suo figlio

La possibilità di scegliere il proprio cognome, senza subire automatismi basati sul genere, sottolinea l'importanza dell'autodeterminazione

In una società che mostra ancora le cicatrici di vecchie ferite, dove i nomi sono carichi di storia e di significato, Silvia Salis e il marito Fausto Brizzi hanno compiuto un gesto di rottura e di ribellione, decidendo di conferire al loro piccolo Eugenio il solo cognome materno. Questo atto, che potrebbe sembrare solo una questione di nomi, in realtà rivela una profonda riflessione sulla vita e sulle ingiustizie che ancora permeano la nostra società.

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La scelta di Silvia e Fausto è una dichiarazione di fiducia nelle capacità e nel valore delle donne, un’affermazione del diritto di una madre di trasmettere il proprio nome al proprio figlio, senza dover necessariamente seguire le convenzioni patriarcali. È un gesto che mette in discussione rigide strutture di potere e di identità, ribaltando le aspettative e riaffermando il ruolo fondamentale delle donne nella società.

Inoltre, questo gesto mette in luce la permanenza di antiche discriminazioni e pregiudizi legati al nome e al genere, ribadendo la necessità di un cambiamento culturale e sociale che dia valore a tutte le identità e riconosca l’importanza della diversità. È un appello alla consapevolezza e alla riflessione su come le convenzioni e le tradizioni possano influenzare le nostre vite e condizionare le nostre scelte.

In questo modo, Silvia e Fausto non solo hanno onorato la propria storia e le proprie convinzioni, ma hanno anche aperto una breccia nella muraglia di pregiudizi e aspettative, dimostrando che le scelte individuali possono essere un potentissimo strumento di trasformazione e di rinnovamento della società. Il piccolo Eugenio, così, diventa portatore di un messaggio di cambiamento e di apertura verso un futuro più inclusivo e rispettoso delle diversità.

Il funzionamento del sistema in Italia

 Questa evoluzione legislativa rappresenta un importante passo avanti nella costruzione di una società più inclusiva

Fuori dal contesto giuridico, la battaglia per il cognome rappresenta un aspetto significativo della vita quotidiana, una lotta per il riconoscimento e l’identità. La decisione della Corte Costituzionale del 2024 è stata come un vento di cambiamento, che ha finalmente messo fine a una prassi che limitava l’autonomia e l’uguaglianza di genere.

La regola del patronimico si era radicata nella società italiana per secoli, come una sorta di vezzo immutabile. Tuttavia, le battaglie condotte da singoli individui come Iole Natoli dimostrano come anche le prassi più consolidate possano essere messe in discussione. La storia della lotta contro la prassi del cognome paterno riflette la costante ricerca di equità e di superamento di convenzioni che limitano le libertà individuali.

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La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è stata un primo segnale dell’inadeguatezza dell’ordinamento italiano rispetto agli standard internazionali, e ha evidenziato la necessità di un cambiamento in direzione di modelli più progressisti e allineati con le evoluzioni della società contemporanea.

La decisione della Corte Costituzionale del 2024 ha segnato un punto di svolta importante, aprendo la strada al doppio cognome e mettendo in discussione l’antica prassi del patronimico. Tuttavia, è stato solo con la decisione del 2024 che si è finalmente raggiunta un’equa soluzione, permettendo l’assegnazione anche solo del cognome materno e istituendo il doppio cognome come prassi automatica, in linea con i principi di parità di genere.

Questa evoluzione legislativa rappresenta un importante passo avanti nella costruzione di una società più inclusiva e rispettosa delle diversità individuali. La possibilità di scegliere il proprio cognome, senza subire automatismi basati sul genere, sottolinea l’importanza dell’autodeterminazione e del riconoscimento dell’identità personale.