In una delle scuole su 3 della regione Piemonte, si osserva la presenza di un banco lasciato vuoto da uno studente hikikomori, che rappresenta la piaga silenziosa della dispersione scolastica.

In una delle scuole su 3 della regione Piemonte, si osserva la presenza di un banco

Nelle silenziose aule delle scuole piemontesi si stagliano i vuoti dei banchi, fantasmi dell’assenza che si moltiplicano in un fenomeno di ritiro sociale sempre più diffuso tra gli adolescenti. Gli hikikomori, nomi giapponesi per giovani che scelgono di restare in disparte, si ritirano nella loro cameretta, abbandonando la vita sociale per rifugiarsi in un mondo virtuale fatto di tecnologia e videgiochi.

Questa tendenza all’autoesclusione, che sembra inizialmente limitata al genere maschile, raggiunge anche le giovani studentesse, a conferma di come ogni caso di ritiro sociale sia unico e sfuggente alle generalizzazioni. Come osservava l’ispettrice inclusione dell’Usr, Tiziana Catenazzo, ogni singolo caso richiede un intervento su misura, poiché rischia di fare peggio se trattato in modo superficiale.

Il fenomeno degli hikikomori si lega strettamente alla dispersione scolastica, con numerosi casi di interruzione della frequenza dovuti al ritiro sociale o alle difficoltà con lo studio. Le scuole medie, in particolare, devono affrontare l’abbandono scolastico causato dal disagio psicologico e dal bullismo, mentre la metà dei ritirati non fa più ritorno in classe.

Ma dietro a questi banchi vuoti si celano anche le difficoltà delle famiglie, costrette a fare i conti con la possibile perdita della potestà genitoriale a causa delle assenze dei figli. L’associazione “Hikikomori Italia Genitori” denuncia la mancanza di un protocollo che possa dare sostegno alle famiglie in questa situazione, mettendo in luce la necessità di affrontare il problema con un approccio olistico, che coinvolga scuole, istituzioni e famiglie.

E così, dietro il silenzio di quei banchi vuoti, si snoda il filo sottile e complesso di una realtà che interpella la società nel suo insieme, richiedendo non solo interventi mirati, ma anche un cambio di prospettiva sulla vita e sulle relazioni umane, su ciò che spinge i giovani a chiudersi in un mondo fatto di solitudine e schermi luminosi.