Come posso sentire la mancanza di qualcosa che non ho mai avuto?” : Margherita condivide la sua esperienza crescendo con una famiglia composta da due mamme

Come posso sentire la mancanza di qualcosa che non ho mai avuto?” : Margherita condivide la

Nella storia di Margherita Fiengo Pardi si riflette la realtà odierna, fatta di sfide e di vittorie, di discriminazioni da combattere e di diritti da conquistare. La sua è una storia che si intreccia con molte altre, una tessitura di esperienze e di desideri che si intrecciano come i fili di una rete intricata.

Le due mamme che l’hanno desiderata e amata mostrano che l’amore non ha limiti né confini, che la vera famiglia è quella fondata sull’affetto e sulla dedizione reciproca. In un mondo in cui l’omofobia e l’omogenitorialità sono ancora oggetto di pregiudizi e discriminazioni, la loro storia è un segno di speranza e di cambiamento, un’apertura verso una visione più ampia e inclusiva della famiglia e della società.

La giovane Margherita, con la sua videocamera e il suo coraggio, si fa portavoce di una realtà che troppo spesso viene ignorata o negata. Attraverso le sue opere cinematografiche, si fa promotrice di una narrazione diversa, capace di smontare stereotipi e pregiudizi, di mostrare la vera essenza dell’amore e della felicità, al di là di convenzioni e preconcetti.

Il suo coraggio nel ribellarsi alle cattiverie e nell’affermare con forza la propria esistenza è un esempio di determinazione e di resilienza, una lezione per tutti coloro che si trovano a lottare per la propria identità e dignità. Margherita sfida gli stereotipi e le discriminazioni con la sua determinazione, dimostrando che la vera forza risiede nella sincerità e nell’autenticità.

Nella sua cameretta, tra il caos della sua famiglia numerosa e la presenza degli animali, si riflette la vitalità di una realtà viva, pulsante, ricca di sfumature e di contrasti. È proprio in mezzo a questo caos che Margherita trova la sua voce, la sua forza, la sua incrollabile volontà di essere se stessa, di affermare la propria identità e la propria felicità.

La sua storia, come molte altre, è un tassello prezioso nel mosaico della vita contemporanea, un segno di cambiamento e di speranza per un mondo più inclusivo e rispettoso delle diversità. Siamo tutti chiamati a guardare oltre le apparenze e a riconoscere il valore e la dignità di ogni singola persona, indipendentemente dalle convenzioni e dagli stereotipi.

In un’epoca in cui la paura e l’odio sembrano spesso prendere il sopravvento, la storia di Margherita Fiengo Pardi e della sua famiglia ci ricorda che l’amore e la determinazione possono abbattere qualsiasi muro e aprire nuove strade verso un futuro più luminoso e inclusivo. Possa la sua voce risuonare forte e chiara, portando con sé un messaggio di speranza e di cambiamento per tutti coloro che si trovano a lottare per la propria libertà e dignità.

Margherita, per favore, condividi con noi la tua storia…

E mi ha fatto capire che, alla fine, siamo tutti parte di una grande famiglia, legati

Mi chiamo Margherita e sono una delle poche ragazze così grandi ad essere nata dall’amore di due donne. La mia famiglia è fatta da me, i miei tre fratelli, le nostre mamme Mary e Francy e svariati animali. Siamo una famiglia un po’ particolare, ma adesso siamo una famiglia normale, per quanto la gente si stranisca e mi faccia domande.

Sono nata nel 2024 e sin da subito ho vissuto in un contesto familiare non convenzionale, o meglio, non convenzionale rispetto alla tradizionale famiglia composta da padre, madre e figli. Le mie mamme hanno ricevuto il riconoscimento della loro unione di fatto nel 2024 e si sono sposate in Spagna, vedendo poi il loro certificato di matrimonio trascritto in Italia dal sindaco Sala. Ma la vera rivoluzione è avvenuta quando, nel 2024, noi fratelli siamo stati legalmente riconosciuti come figli di entrambe le nostre mamme. Il sindaco Sala ha compiuto questo gesto di sua spontanea volontà e da allora siamo tutti per la legge figli della mamma che non ci ha partoriti.

Questa situazione, in apparenza complessa, ha reso la nostra vita familiare un po’ un casino, soprattutto fino ai miei 16 anni quando sono stata con mia mamma e i miei fratelli senza alcun legame legale con loro. Se per caso mia mamma Francy, che ha partorito uno dei miei fratelli, fosse morta, lui non sarebbe potuto più stare con noi, perché non eravamo legati a lui da nessun vincolo a livello legale. È stata una condizione difficile da accettare, ma fortunatamente ad oggi è andato tutto bene.

Ora, pur essendo una famiglia “non convenzionale”, non ci consideriamo diversi dagli altri. La nostra particolarità si riflette nel modo in cui la gente si approccia a noi, come quando qualcuno, intervistandomi, mi chiede se mi da fastidio parlare della mia famiglia. Ma per me è avere un genitore come un altro, semplicemente di un altro sesso. La diversità della nostra famiglia non fa altro che renderci unici, ma io non lo vivo come un peso. Semplicemente è la mia vita, e non potrei immaginarla diversamente.

Dove sei nato tu e i tuoi fratelli?

  Secondo te è importante che i figli delle famiglie omogenitoriali vengano esposti a esperienze

Nel nostro vivere quotidiano, siamo costretti a confrontarci con le rigide regole e restrizioni che la società impone, spesso senza tener conto delle peculiarità e delle complessità delle relazioni umane. La nostra famiglia non fa eccezione: nata da un mix di leggi e convenzioni, siamo costantemente costretti a confrontarci con dubbi e incomprensioni da parte degli altri. Proprio come nel caso dell’interrogatorio subito da Francy e Antonio all’aeroporto, dove la diversità fisica ha generato sospetti infondati e malintesi.

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Eppure, nonostante le apparenti difficoltà e complicazioni, la nostra famiglia è profondamente legata da un amore e un’affetto sincero. Siamo uniti non solo dal legame del sangue, ma anche da un’intesa emotiva e spirituale che va al di là delle convenzioni e delle apparenze esterne. In fondo, la vera essenza della famiglia risiede nella capacità di accettare e amare l’altro per quello che è, indipendentemente dalle origini e dalle somiglianze fisiche.

In questo mondo in cui le identità e le relazioni sono sempre più sfumate e complesse, è importante abbracciare la diversità e la pluralità come elementi fondamentali per la costruzione di legami autentici e significativi. Solo così potremo superare le barriere e i pregiudizi che spesso ci impediscono di riconoscere il vero valore delle relazioni umane.

Hai mai avuto l’esperienza, quando eri bambina, di guardare i tuoi compagni e sentirti portata a chiederti a casa il motivo per cui non avessi un papà?

 Nel film che ho realizzato, ho inserito interviste di politici con nomi, cognomi e facce

Le mie mamme mi hanno insegnato fin da piccola a non avere paura di essere diversa, a non nascondere nulla e a difendere sempre ciò in cui credo. Mi hanno trasmesso l’importanza di essere autentica e di non temere i pregiudizi degli altri. Così, fin dall’infanzia, ho imparato a essere fieramente me stessa, senza lasciarmi condizionare dalle opinioni altrui.

La mia infanzia è stata piuttosto insolita, certo, ma non per questo meno felice. Crescere con due madri è stato per me una ricchezza, un modo per capire fin da piccola che l’amore e la famiglia non seguono uno schema rigido, ma si possono declinare in mille modi diversi. Le mie mamme mi hanno mostrato con il loro esempio che l’importante è la reciprocità e la dedizione, non il genere o il numero dei genitori.

Oggi sono grata alle esperienze che ho vissuto, perché mi hanno reso una persona aperta e consapevole della complessità della vita. Le parole “mamma” e “famiglia” per me hanno un significato profondo, fatto di amore, accettazione e coraggio. Sono consapevole di avere avuto la fortuna di crescere in un contesto non convenzionale ma pieno di amore, e questo mi ha reso una persona più empatica e aperta verso le diversità altrui.

Hai mai provato il senso di essere giudicata da parte dei compagni di classe durante l’esperienza scolastica?

È curioso come la mancanza possa essere percepita come qualcosa di diverso, di estraneo alla normalità. Ma in realtà, la normalità è un concetto mutevole, che si adatta alle esperienze e alla percezione di ciascuno. La maestra, con la sua risposta alquanto sbrigativa, ha dimostrato l’incapacità di comprendere una realtà diversa dalla propria, preferendo nascondersi dietro a superficiali consigli. Forse avrebbe potuto aprirsi a una conversazione più profonda, magari scoprendo nuove prospettive su cosa significhi ‘figlia’.

Il fatto di non aver avuto un padre non mi ha mai pesato più di tanto, ho avuto la possibilità di costruire un legame molto forte con mia madre e mi ha insegnato a vedere le cose da prospettive diverse rispetto ai miei coetanei. Essere diversi è un vantaggio, ti rende più ricco di esperienze, di sfumature, ti permette di guardare il mondo da angolature inedite. Quindi, in fondo, mi sento privilegiata per non aver avuto un padre, perché questa mancanza mi ha dato la possibilità di crescere con una visione unica e irripetibile del mondo.

Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a realizzare il cortometraggio “Chiedimi se”? Quali sono stati i feedback e le reazioni del pubblico nei confronti di questo progetto?

Si potrebbe dire che la mia vita si è trasformata in un cortometraggio divulgativo, una narrazione strutturata e finalmente libera di esprimere me stessa. Eppure, non mi aspettavo che questo lavoro avesse un impatto così grande, visto che inizialmente era solo un compito scolastico. Ho dedicato molto impegno a questo progetto, perché volevo finalmente dare voce alle mie riflessioni. Era una sorta di necessità interiore che avevo accumulato nel corso del tempo e che finalmente poteva trovare forma attraverso un mezzo espressivo così potente come il video.

Le reazioni iniziali, però, non sono state affatto incoraggianti. Il video è stato pubblicato su vari siti di notizie e condiviso sui social, attirando anche l’attenzione di haters che hanno riversato su di me una valanga di insulti personali. Ho preferito rimuovere il post da Instagram per evitare di leggere commenti offensivi che avrebbero potuto ferirmi. È incredibile come dietro uno schermo ci si senta in diritto di giudicare e offendere chiunque, senza rendersi conto dell’impatto che tali parole possono avere sulla vita reale.

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Eppure, ironia della vita, mi ritrovo a sentirmi esclusa proprio durante il tentativo di superare pregiudizi e discriminazioni. Molte persone parlano senza conoscere la mia storia, senza capire il vero significato delle mie parole. Mi viene detto che sto sbagliando, che sono manipolata dalle mie madri, che non posso comprendere veramente ciò di cui parlo. Ma il video, per me, è stato un’opportunità di autoproduzione, un’occasione per raccontare la mia esperienza senza filtri, senza intermediazioni esterne che ne potessero influenzare la genuinità.

E così, ironia della vita, ho dovuto prendere le distanze dai social media, quei luoghi virtuali che dovrebbero servire alla condivisione e all’inclusione, ma che spesso diventano terreno fertile per l’intolleranza e la cattiveria. È triste constatare quanto sia faticoso, persino in un contesto moderno e progressista, riuscire ad essere accettati e compresi. Ma proprio questa fatica è ciò che mi ha spinto a realizzare il mio cortometraggio, un atto di resistenza e di affermazione della mia identità.

Qual è stata l’evoluzione del cortometraggio dalla scuola alla diffusione su internet?

La notizia del corto vincitore si sparse come un sussurro tra i corridoi della scuola, fino a raggiungere le orecchie della stampa. La mia famiglia si ritrovò al centro di un vortice mediatico, con la giornalista che desiderava ardentemente intervistarmi riguardo al mio capolavoro cinematografico.

Mia madre, una donna schiva e riservata, si trovò improvvisamente al centro dell’attenzione, costretta a raccontare del video che tanto aveva emozionato la giornalista. Il corto, oggetto della mia passione e dedizione, divenne improvvisamente il protagonista di una storia che andava al di là delle mie aspettative.

Le telefonate si susseguirono una dopo l’altra, come una catena infinita di suoni e voci che invadevano la tranquillità della nostra casa. Eppure, in mezzo a tutto questo trambusto, io restavo silenziosa, osservando con occhi lucidi il mio piccolo capolavoro prendere vita propria.

Il destino, beffardo e imprevedibile, decise di proiettare il mio corto in due festival cinematografici di prestigio, l’uno a Firenze e l’altro a Milano. Eppure, ironia della sorte, mi fu impedito di partecipare di persona a queste proiezioni, lasciandomi spettatrice della mia stessa opera d’arte.

Ma in fondo, quella privazione mi donò una gioia doppia: da un lato la soddisfazione di vedere il mio lavoro riconosciuto e apprezzato, dall’altro la consapevolezza di coltivare il mio sogno di diventare una cineasta, un giorno. La vita, a volte, sa regalarci delle sorprese inaspettate, e bisogna essere pronti ad accoglierle con umiltà e gratitudine.

Credi che vivere in una grande città come Milano possa offrirti una maggiore protezione contro le discriminazioni?

Vivere a Milano è come camminare su un filo sospeso tra la modernità e la tradizione, tra l’apertura mentale e la chiusura sociale. È un privilegio poter essere se stessi senza il timore di essere emarginati o discriminati, ma allo stesso tempo è un costante equilibrio tra l’espressione individuale e la paura del giudizio altrui.

Il mio modo di vivere è un’esperienza che mi espone al rischio delle reazioni negative, ma è anche una scelta consapevole di libertà. La libertà di esprimere la propria identità, di condividere le proprie esperienze, di sfidare le convenzioni e i pregiudizi.

Vivere a Milano mi permette questo lusso, ma non posso ignorare il fatto che molte persone non hanno la stessa fortuna. Le diverse realtà sociali e culturali coesistono in questa città, creando un intreccio complesso di prospettive e punti di vista. Sono consapevole del mio privilegio, ma non posso ignorare le disparità che ancora persistono.

Forse, in un contesto diverso, non avrei avuto il coraggio di condividere la mia vita in modo così aperto. Forse avrei preferito nascondermi dietro una maschera, invece di esporre la mia vulnerabilità. Ma qui, a Milano, ho il privilegio di poter essere me stesso senza troppi timori.

Eppure, anche qui a Milano, il 10% di reazioni negative non può essere ignorato. È un segnale che ci ricorda che non tutto è perfetto, che c’è ancora tanto da fare per costruire una società veramente inclusiva e accogliente. Siamo tutti parte di un tessuto sociale complesso, e le nostre azioni e le nostre scelte hanno un impatto sul mondo che ci circonda.

Vivere a Milano mi offre molte opportunità, ma mi pone anche di fronte a delle sfide. Affrontare le reazioni negative è solo una parte di questo equilibrio, ma anche un modo per crescere, imparare e contribuire a costruire un mondo migliore per tutti.

Siete voi associati all’associazione Famiglie Arcobaleno?

Nel bosco, le nostre tre famiglie fondatrici si ritrovavano per scambiarsi racconti e ricette, mentre noi bambini correvamo liberi tra gli alberi, costruendo castelli di fango e inventando storie di cavalieri e draghi. Le madri parlavano delle loro esperienze e dei loro desideri, mentre i padri discutevano di politica e filosofia, cercando di trovare soluzioni ai problemi del mondo. Era un microcosmo in cui ognuno trovava il proprio posto, in cui le differenze erano celebrate e gli abbracci di ogni genere erano la norma.

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La vita in comunità ci ha insegnato la diversità come ricchezza, ci ha aperto gli occhi su un mondo in cui le famiglie non sono fatte solo da un padre, una madre e dei figli, ma possono essere composte in mille modi diversi. Abbiamo imparato che l’amore e l’affetto non conoscono confini di sangue, che la vera famiglia è quella che scegliamo per noi stessi.

Oggi, guardando indietro a quei giorni felici nel bosco, capisco quanto quelle esperienze mi abbiano influenzato e mi abbiano reso più consapevole della complessità della vita. Crescere in un ambiente così aperto e inclusivo mi ha insegnato ad accettare le diversità con serenità, a essere curiosa e aperta verso ciò che è diverso da me. E mi ha fatto capire che, alla fine, siamo tutti parte di una grande famiglia, legati dal filo sottile della nostra umanità condivisa.

Secondo te è importante che i figli delle famiglie omogenitoriali vengano esposti a esperienze e realtà simili alle loro?

In quella comunità, le relazioni si intrecciavano come rami di alberi in un bosco fitteggiante, creando una rete di supporto e comprensione reciproca. Era un luogo dove le diversità non erano motivo di isolamento, ma di arricchimento. La gioia di appartenere a quel gruppo si mescolava a un senso di appartenenza più profondo, un sentimento di condivisione che andava oltre le singole esperienze personali.

Ogni coppia giovane che desiderava avere figli, qualsiasi fosse la propria composizione, trovava in quella comunità un sostegno prezioso, una fonte di informazioni e supporto emotivo. Era un luogo di accoglienza, dove l’importante non era la diversità delle famiglie, ma l’amore e la cura che vi regnavano.

Proprio come nella trama di un racconto, le storie di quelle persone si intrecciavano in un mosaico unico, lasciando emergere la bellezza e la complessità delle relazioni umane. Il corto che aveva suscitato tanta gratitudine in coloro che lo avevano visto era come un punto di luce improvviso in un cielo notturno: aveva dissipato dubbi e incertezze, aveva aperto nuove possibili strade nella mente di chi lo aveva visto.

Era un mondo che si arricchiva della diversità e che capiva, come solo un vero bosco sa fare, che la bellezza sta proprio nella molteplicità delle forme e dei colori.

Ti senti parte di una famiglia riconosciuta ufficialmente dallo Stato o ritieni di essere vittima di ingiustizie e discriminazioni?

Nel labirinto della vita, prima ancora di essere etichettati e riconosciuti ufficialmente, le emozioni ci pervadono in maniera più intensa e autentica. È come se il marchio sul certificato di nascita ci sottraesse parte della nostra essenza primordiale, impoverendo la nostra esperienza umana.

Nel film che ho realizzato, ho inserito interviste di politici con nomi, cognomi e facce ben noti, che pronunciavano parole assurde e offensive. È stata la mia forma di vendetta per anni di frasi terribili e per sentirsi negare il diritto fondamentale all’esistenza. E ancora oggi, alcune osservazioni mi fanno sorridere ironicamente. Non le definirei ingiustizie, piuttosto direi che si tratta di un’assenza di consapevolezza da parte di chi le formula.

Da bambina, alcuni politici proferivano discorsi che negavano il mio diritto a esistere, nonostante fossi un’amata cittadina italiana. Una ferita profonda, il cui ricordo si alterna tra lacrime e sorrisi amari. E non ero sola: molti altri bambini, figli di famiglie omogenitoriali, hanno vissuto il peso di parole che negavano la legittimità delle nostre famiglie, definendole come un abominio della specie.

Ma riflettendo su queste parole mi domando: chi è veramente a compiere un’offesa all’umanità? Non sono certo le mie madri, che mi hanno cresciuto con amore e dedizione, ma coloro che si ergono a giudici della nostra esistenza, senza considerare la sofferenza e l’ingiustizia delle proprie parole. La vita è fatta di labirinti come questi, pieni di voci e opinioni, ma è importante ricordare che sono le nostre azioni e le nostre relazioni a determinare il vero significato dell’esistenza.