La storia di come il piccolo Edoardo, affetto da tetraparesi spastica, e la sua affettuosa famiglia hanno imparato a vivere felici nonostante la disabilità.

Gabriele Belloni, 32 anni, e Jessica Magatti, 31 anni, sono i genitori di Edoardo, un giovane di 4 anni e mezzo che ha rivoluzionato le loro vite. Un figlio – soprattutto se è il primo – cambia la vita di chiunque, ma Edo ha trasformato la loro esistenza in modo completo. Una rivoluzione chiamata disabilità grave – o, per essere più precisi, tetraplegia spastica – che Gabriele e Jessica affrontano giorno per giorno con dignità e con il cuore colmo di amore.

Mamma Jessica, papà Gabriele, il piccolo Samu e il grandicello Edo. Nella pancia di Je, un terzo fratellino, che nascerà nel mese dei fiori, maggio. La famiglia Belloni-Magatti – nativa di Abbiategrasso, in provincia di Milano – ha imparato a convivere con una forma grave di disabilità, la tetraparesi spastica, di cui è affetto il 4enne Edoardo.

La sveglia suona alle 7 del mattino. È un lusso, ci spiega Je: fino all’anno scorso Edo era già vispo nel cuore della notte, e mamma Jessica, dopo una notte a calmare le sue crisi epilettiche, lo sistemava sulla carrozzina e lo accompagnava fuori per un giretto alle prime luci dell’alba, quando i panettieri infornavano le prime pagnotte della giornata.

Dopodiché, inizia la routine mattutina: ginnastica respiratoria, lavaggi nasali e dei dentini, stimolazione motoria e cognitiva. Alle 9:30 è l’ora della fisioterapia, a volte con l’ausilio della neuro-psicomotricista. Il movimento lascia posto agli esercizi di logopedia sul seggiolone, per evitare di compromettere l’articolazione mandibolare e la respirazione. Dopo le nanne di un’ora, alle 14 ricomincia l’attività fisica, seguita da nuove stimolazioni logopediche e attività cognitive-sensoriali per poi passare all’ultima sessione di attività motoria delle 18. Dopo il bagnetto, alle 21 una prima batteria di farmaci antiepilettici lo aiuta ad addormentarsi e qualche ora dopo inizia la pappa notturna in gastrostomia: anziché la pastasciutta, liquidi, e una sonda al posto del cucchiaio.

Il dramma è che Edo è nato sano. La sua disabilità nasce da un’asfissia post parto.

La vita di mamma Je e di papà Gabri ruota intorno a quella di Edo. Lei, infermiera di professione, non è più tornata a lavoro dopo la nascita del piccolo, per garantire al figlio l’assistenza sanitaria che gli occorre 24 ore su 24, sopperendo, di fatto, alla carenza dei servizi che il nostro Paese offre in situazioni delicate di questo tipo. Sei ore a settimana erano le ore di assistenza infermieristica che lo Stato aveva riconosciuto alla famiglia alla nascita di Edoardo, giusto il tempo per permettere a Jessica di lavarsi e mangiare. Oggi quelle sei ore risicate sono diventate 25, grazie alle battaglie burocratiche combattute dai suoi genitori.

I nonni, che abitano al piano di sopra, hanno richiesto la pensione anticipata per dedicarsi ai nipoti, assumendo, con il loro costante aiuto, il ruolo di co-protagonisti nella storia della famiglia Belloni-Magatti.

Una storia drammatica che lascia un forte retrogusto amaro dovuto all’inefficienza delle istituzioni e alle gravi lacune dei servizi, economici e sanitari, garantiti alle famiglie con disabili a carico. Ma anche una storia di coraggio e di resilienza, in una famiglia che è riuscita ad assorbire l’urto della tragedia senza rompersi e che ha deciso di costruirsi con amore e dedizione una felicità nuova e diversa.

Oggi Jessica e Gabriele raccontano la loro quotidianità sui social (“associazione_espera”) e hanno fondato un’associazione, Espera, che – come raccontano nel libro Con il sole nella tempesta – punta a supportare bambini con disabilità gravissima come Edoardo, e le loro famiglie.

«Il problema non è la disabilità di nostro figlio, ma il fatto che dobbiamo lottare contro tutto e tutti per ottenere quello che ci spetterebbe di diritto» ci racconta la coppia in quell’ora d’aria serale in cui Edo dorme (almeno fino a quando non iniziano le crisi epilettiche). «Per ottenere il minimo che ci spetta siamo dovuti andare per avvocati» continua papà Gabri, prima di interrompersi improvvisamente: sta suonando il saturimetro di Edo, si alza e, farmaci alla mano, corre in camera del figlio.

Qual è la storia di Edoardo? Scopriamo insieme il racconto della vita di Edoardo.

Qual è la diagnosi medica che è stata assegnata a Edoardo?

Nella vasta rete dei misteri del corpo umano, si apre un nodo intricato e sconcertante: la tetraparesi spastica da danno ischemico postnatale. Un labirinto di disfunzioni si dipana lungo i sentieri neuronali, con conseguenze che si diramano in molteplici direzioni. L’assenza di deglutizione, deficit visivo e uditivo, e crisi epilettiche si stagliano come torri nelle brume del paesaggio cerebrale, delineando un profilo di sofferenza e sfide inestricabili.

Questo individuo si trova ad affrontare una realtà distorta, in cui la normalità è un concetto lontano e inafferrabile. La sua vita è condizionata da un danno cerebrale che si è insinuato come un’ombra indelebile, limitando i suoi movimenti e il suo contatto con il mondo. Ogni gesto, ogni percezione, è attraversato da fili invisibili che si aggrovigliano e si intrecciano, complicando ogni azione e ogni esperienza.

Eppure, nonostante tutto, c’è una vitalità che permea anche questa esistenza segnata. Nella lotta contro le proprie limitazioni, si sprigiona una forza straordinaria, un richiamo alla vita che non può essere soffocato. In ogni sforzo per comunicare, in ogni sorriso che irrompe tra le pieghe della fatica, c’è una testimonianza di resilienza e di indomito desiderio di esistere al di là di ogni ostacolo.

La sua storia si intreccia con quella di innumerevoli individui che affrontano quotidianamente sfide simili, ciascuno con la propria vicenda particolare, ma accomunati da un’inesauribile ricerca di significato e di dignità. È in queste storie, così spesso sommerse dal rumore del mondo, che possiamo scorgere un riflesso della nostra stessa umanità, fragile e potente al tempo stesso, capace di fiorire anche nei terreni più aridi e impervi.

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Avete avuto la necessità di interrompere il vostro lavoro per dedicarvi all’assistenza del vostro figlio?

Nella nostra casa si è instaurata una routine fatta di gesti precisi e necessari, come un rito ininterrotto che si ripete giorno dopo giorno. Jessica si dedica con amore e attenzione a Edo, mentre io cerco di portare avanti il lavoro, conscio di essere l’ancora di stabilità economica della famiglia.

Le giornate scorrono senza troppe variazioni, immutabili nella loro necessità e nella loro dolente monotonia. Edo è il centro gravitazionale intorno al quale ruotano le nostre vite, con le sue esigenze e le sue fragilità che scandiscono il ritmo della giornata.

In un certo senso, la nostra vita si è ridotta all’essenziale, a un susseguirsi di gesti pratici e cure costanti. Eppure, nonostante la fatica e le preoccupazioni, c’è in noi una forza che deriva dall’amore per Edo, un amore che ci spinge a superare le nostre stesse limitazioni, a reinventarci ogni giorno per dare a lui il meglio di noi.

Tra i silenzi della notte, quando Edo finalmente trova un po’ di pace e noi ci ritroviamo soli, guardo Jessica con rinnovata ammirazione. Non so come faccia a trovare la forza di continuare, giorno dopo giorno, senza mai perdere la gentilezza e la delicatezza che la contraddistinguono. Il suo cuore è un tesoro inestimabile, capace di donare amore senza misura, anche nei momenti più duri.

E così, anche se la vita ci ha imposto una strada diversa da quella che avevamo immaginato, continuo a sentirmi fortunato ad avere al mio fianco una donna straordinaria come Jessica. In questo tessuto di gesti ordinari e difficoltà quotidiane, emerge la bellezza di un amore che si rinnova e si fortifica, resistendo alle prove e alle avversità con una forza silenziosa ma inarrestabile.

Qual è la tipica routine giornaliera che seguite durante la vostra giornata?

In questo intricato labirinto di cure e attenzioni quotidiane, si svolge la vita di Jessica e della sua famiglia. Un’avventura imperscrutabile e sorprendente, fatta di piccoli gesti e grandi sacrifici, dove il tempo si dilata e si contrae in un ritmo tutto suo.

La presenza costante dei genitori di Jessica, come una sorta di ombra benefica che si stende su di loro, rappresenta un conforto inestimabile di cui non tutti possono godere. Nell’abbraccio familiare, la fatica si fa meno gravosa e l’isolamento meno angosciante.

Le piccole vittorie quotidiane, come il raggiungimento della posizione verticale da parte di Edoardo, sono come piccoli tesori da custodire gelosamente. La dolcezza di quei momenti, in cui si coglie la bellezza dell’essere umano nel suo lento e inarrestabile cammino verso la conquista della propria esistenza, è commovente.

E così, tra ginnastica respiratoria, stimolazioni motorie, terapie logopediche e il costante monitoraggio delle sue condizioni, Edoardo si fa strada con tenacia e coraggio. La sua vita è un viaggio in salita, ma non privo di panorami mozzafiato e di sorprese inaspettate.

Mentre la notte scivola silenziosa, la famiglia si prepara ad accogliere il sonno di Edoardo, dovizioso di farmaci che lo aiutano a trovare un po’ di pace. È in quei brevi istanti di tranquillità che Jessica e sua famiglia trovano un respiro, un momento di tregua prima di riprendere la loro incessante opera di amore e dedizione.

E così la vita di Jessica, come un romanzo di Calvino, si dipana in mille pieghe e sfumature, un intreccio di realtà e meraviglia in cui anche la fatica e la sofferenza si trasformano in straordinaria poesia.

Come Samuele, il fratellino più giovane, affronta la situazione e vive la dura realtà della disabilità del suo fratello maggiore?

Samuele vive la sua vita con naturalezza, tanto da considerare tutti i bambini come Edoardo, il suo amato fratello minore. Ma in realtà, è lui il minore, e proprio per questo la nostra psicoterapeuta ci ha consigliato di renderlo consapevole della condizione del fratello, senza nascondergli la verità. È fondamentale che Samuele non viva all’oscuro di ciò che lo circonda, altrimenti potrebbe affrontare con maggiore difficoltà il confronto con il mondo esterno quando sarà necessario farlo.

Che cosa significa essere il fratello di un disabile? Samuele non è solo il “figlio sano”, è il vivace e desiderato terremoto di vita che ha portato nuova vitalità nella nostra famiglia. La sua presenza ci ha ricordato che c’è un mondo da scoprire al di fuori delle nostre preoccupazioni quotidiane, un mondo di cui anche Edo fa parte. Samuele ci ha insegnato ad affrontare la disabilità di suo fratello con più naturalezza, a non escluderlo ma ad includerlo nelle nostre attività quotidiane.

Anche se indirettamente, Samuele si è fatto carico di una situazione difficile per la sua giovanissima età, dimostrandosi desideroso di prendersi cura del fratello. È normale per lui offrirgli supporto, prendendolo per mano e aiutandolo a partecipare alle attività che altrimenti gli sarebbero precluse. Questo atteggiamento così spontaneo e amorevole commuove sempre noi genitori.

Vivere con un fratello disabile può essere un peso per Samuele, che deve condividere l’attenzione dei genitori, ma allo stesso tempo è anche un’occasione di crescita e arricchimento. La disabilità, nonostante le difficoltà che porta con sé, può insegnare il vero valore della vita, rendendoci consapevoli della felicità nelle piccole cose e dell’importanza della semplicità.

Avere un fratello disabile è sicuramente un valore aggiunto, e lo dimostra la nuova relazione stimolante che si è sviluppata tra i due fratelli. Il percorso scolastico che hanno recentemente intrapreso sarà sicuramente un’importante novità per entrambi, e non vediamo l’ora di vedere come questa nuova esperienza influenzerà il loro rapporto.

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Quindi, Edoardo ha iniziato a frequentare la scuola?

Eppure, non c’è nulla di più comune e inevitabile della lotta per ottenere i propri diritti. È come se la vita stessa ci mettesse alla prova, obbligandoci a confrontarci con le istituzioni e con chi ci circonda. Ma è proprio in questa lotta che si manifesta la forza e la determinazione di chi non si arrende di fronte alle difficoltà.

Edoardo, con la sua diversità, porta con sé un bagaglio di sfide e di ostacoli da superare ogni giorno. Ma è proprio questa diversità che può insegnare tanto agli altri, che può arricchire la vita di chiunque incontri il suo cammino. L’incontro con la diversità è un’opportunità di crescita, un modo per imparare a guardare il mondo da prospettive diverse, a superare pregiudizi e a scoprire nuove forme di bellezza.

E così, nonostante le difficoltà, ci prepariamo ad affrontare questa nuova tappa della nostra vita, consapevoli che sarà un’occasione per imparare, per insegnare, per crescere insieme. Edoardo sarà il nostro maestro di vita, ci mostrerà con la sua determinazione e il suo coraggio che non c’è ostacolo insormontabile se si affronta con amore e fiducia.

Qual è il modo in cui si può realizzare ciò?

Il caso di Edoardo è solo uno dei tanti esempi di come la burocrazia spesso si scontri con la realtà della vita quotidiana, imponendo limiti e regole che sembrano disconnettersi dalla complessità e dai bisogni reali delle persone. Come una ragnatela che avvolge e intrappola, le leggi e le normative spesso si rivelano rigide e poco adatte a farsi carico delle singole storie umane.

La lotta di questa famiglia per garantire a Edoardo un’educazione inclusiva e un’assistenza adeguate è il riflesso di una realtà diffusa, in cui molte famiglie si ritrovano ad affrontare burocrazia e ostacoli per garantire i diritti fondamentali dei propri figli. In questa battaglia, a volte ci si sente come Don Chisciotte che combatte contro mulini a vento, ma la determinazione e la volontà di non arrendersi sono l’unica speranza di cambiamento.

La disabilità non è un problema che riguarda solo il singolo individuo, ma coinvolge l’intera famiglia. Le difficoltà e le sfide quotidiane sono condivise da tutti i membri del nucleo familiare, e spesso vengono trascurate dalle istituzioni che dovrebbero sostenere e aiutare. In questo senso, la battaglia di Edoardo e della sua famiglia non è solo una lotta per i propri diritti, ma un appello alla società intera affinché si renda conto della complessità e della ricchezza che si nasconde dietro ogni singola persona.

Quali sono i principali servizi di cui una famiglia con un membro disabile dipendente ha maggiormente bisogno?

In questo teatro dei servizi domiciliari, dove le famiglie si trovano a dover navigare tra lunghe liste d’attesa e costose strutture private, si dipana una commedia umana fatta di sacrifici, coraggio e disperazione. Le terapie, che dovrebbero essere un diritto fondamentale di ogni bambino, si trasformano invece in un lusso accessibile solo a pochi.

La vita di Edoardo, come quella di tanti altri bambini, si gioca tra le pareti di casa e i corridoi di ospedali e centri riabilitativi. La precarietà delle terapie domiciliari costringe le famiglie a prendere decisioni difficili, a sacrificare il proprio tempo e la propria tranquillità per assicurare ai propri figli le cure necessarie.

E mentre le istituzioni si rivelano come enti burocratici distanti e inefficaci, sono le famiglie a dover trovare soluzioni ingegnose per far fronte alle sfide quotidiane. È una lotta che si svolge nell’ombra, lontano dai riflettori, dove la resilienza e la determinazione si scontrano con le difficoltà del sistema.

Nella storia di Edoardo e di chi come lui si trova ad affrontare simili difficoltà, emerge un’insidia più grande: quella di dover combattere non solo contro la malattia o la disabilità, ma anche contro un mondo che non sembra disposto a facilitare il percorso di chi ha bisogno di aiuto. Eppure, nonostante tutto, queste famiglie trovano la forza di andare avanti, di creare legami solidi e di aggrapparsi alla speranza, sfidando un destino che sembra essere loro avverso.

Da dove avete tratto la vostra forza interiore?

Mia forza non è solo un’energia individuale, ma il risultato di un’interazione costante con le persone che mi circondano. È l’amore dei familiari, l’affetto degli amici, il sostegno degli operatori sanitari che hanno preso parte alla nostra vita come membri della famiglia stessa. È il calore umano che mi dà la forza di affrontare le sfide quotidiane, di lottare per ciò che è giusto e necessario per il benessere di mio figlio e della mia famiglia.

La mia rabbia nei confronti delle istituzioni è dovuta alla frustrazione di vedere quanto poco vengano compresi i bisogni delle persone con disabilità, e quanto sia complicato ottenere il supporto necessario. La decisione di fondare l’associazione Espera è stata una reazione a questa frustrazione e insieme ad altre famiglie abbiamo trovato la forza per dar voce alla nostra causa. È incredibile come l’emotività dei social abbia potuto trasformare un momento di sconforto in un’opportunità di cambiamento, unendo sotto la stessa bandiera tante persone con storie simili alle nostre.

Cercare la felicità non è stato facile, ma è stato possibile grazie alla determinazione e all’amore. Tuttavia, non posso fare a meno di notare quanto siano tante le barriere che le istituzioni pongono sul nostro cammino. È come se dobbiamo combattere costantemente non solo contro le sfide che la vita ci pone, ma anche contro chi dovrebbe esserci vicino a sostenerci. La disabilità di mio figlio non è il vero problema, ma piuttosto la mancanza di supporto e comprensione da parte di chi dovrebbe fornircelo.

Ed è così che mi ritrovo ad essere un tessuto di relazioni, intriso di amore, rabbia e determinazione, a muovermi in un mondo in cui la solidarietà e la comprensione sembrano spesso essere in conflitto con logiche burocratiche e ostacoli amministrativi. Ma la mia forza non si esaurisce, alimentata dalla costante consapevolezza che, nonostante tutto, è possibile trovare momenti di gioia e felicità, se si lotta per ciò che è giusto e necessario.

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Qual è l’impatto sulla vita di un genitore che ha un figlio disabile?

Nella rete delle nostre relazioni sociali, si è creato un nuovo equilibrio, una nuova dinamica fatta di assenze e presenze. Gli amici ci sono, anche se non li possiamo vedere, ma è un bene prezioso, non tutti possono vantare di avere amicizie così solide.

La vita sociale, quel teatro in cui ognuno di noi recita la propria parte, è diventata un luogo noto solo attraverso racconti e immagini virtuali, un palcoscenico a cui si ha accesso limitato o in cui si partecipa solo in modo mediato.

E così, mentre io mi allontano di casa per recarmi al lavoro, Jessica resta, come una moderna Penelope, a tessere nella sua dimensione domestica. Come coppia, ci ritroviamo a condividere quei rari momenti di socialità, e ogni uscita diventa un evento speciale, un’occasione da celebrare.

Questa nuova dimensione delle nostre vite ci ha messo di fronte a nuove sfide, ma ci ha anche permesso di apprezzare in modo diverso i momenti passati insieme, rendendoli ancora più preziosi. Questo periodo ci ha insegnato a non dare nulla per scontato, a essere grati per ogni piccola occasione di condivisione e di contatto umano, e a gustare appieno ogni momento di libertà e di socialità.

Siete afflitti dal peso dello sguardo giudicante della società su di voi?

La verità è che non c’è nulla di facile nel prendersi cura di un bambino con disabilità grave. È un impegno a tempo pieno, che richiede una dedizione totale. Edo ha bisogno di continue attenzioni e cure, e non è una scelta che si possa prendere alla leggera. Ma non è solo una questione di sacrificio: ci sono momenti di gioia e di sorrisi genuini, momenti di connessione profonda che non avrei mai potuto immaginare prima di diventare madre di un bambino con disabilità.

Portare Edoardo in una scuola tradizionale è una scelta importante. Non vogliamo isolare nostro figlio in un ambiente separato, vogliamo che abbia la possibilità di interagire con bambini diversi da lui, di imparare a vivere in un mondo che non sempre sarà facile. È una sfida, sia per lui che per noi, ma crediamo che sia la scelta giusta per il suo sviluppo e per la sua felicità.

Quello che la gente non capisce è che la disabilità non dovrebbe essere motivo di separazione o di esclusione, ma piuttosto di inclusione e accettazione. Ognuno di noi è diverso dagli altri, e incontrare la diversità dovrebbe essere un’opportunità di crescita e di arricchimento. Forse se tutti avessero la possibilità di conoscere persone come Edoardo, il mondo sarebbe un posto migliore, più compassionevole e aperto alle differenze.

Infine, riguardo alle malelingue, credo che sia semplicemente la paura di ciò che non si conosce a parlare attraverso di loro. Forse, se avessero l’opportunità di avvicinarsi a storie come la nostra, potrebbero cambiare il loro punto di vista e aprirsi a una maggiore comprensione e empatia.

Sta migliorando Edoardo o ci saranno dei miglioramenti in futuro?”

Nella storia di Edoardo, si è aperto un varco di luce in mezzo alle tenebre della disabilità. Il fatto stesso di camminare sul deambulatore e gattonare sullo skateboard è come una magia che infrange le prospettive più cupe. Eppure, non possiamo illuderci che la strada sarà priva di ostacoli: la disabilità è un cammino tortuoso, costellato di sfide e pregiudizi da superare.

Edoardo e la sua famiglia si trovano di fronte a un mondo che spesso li considera diversi, incapaci, soli. Ma la realtà è ben diversa. La determinazione e l’amore di chi li circonda sono un’ancora preziosa, capace di guidarli attraverso le tempeste più buie. La prospettiva di una vita “normale” viene messa in discussione, ma non è detto che sia inferiore.

La ricerca di un equilibrio tra le esigenze di Edoardo e quelle della vita quotidiana è una sfida continua, fatta di piccoli e grandi progressi, di gioie e difficoltà. La società non sempre è pronta ad accogliere la diversità con apertura di spirito, ma è proprio in questi momenti che si rende necessario ribaltare le aspettative e costruire una felicità alternativa.

La felicità, infatti, non ha un’unica forma: può manifestarsi in modalità diverse, adattandosi alle circostanze e alle sfide che la vita ci pone davanti. Edoardo e la sua famiglia sono la dimostrazione vivente che, anche nella disabilità, c’è spazio per la gioia e la realizzazione personale. La sofferenza e la rabbia possono trasformarsi in forza e amore, diventando le fondamenta su cui costruire una vita appagante nonostante le difficoltà.

La chiave sta nell’avere accesso ai giusti aiuti e alle terapie adeguate, ma anche nell’acquisire una visione diversa delle cose. La felicità alternativa di cui parla questa famiglia è un invito a guardare la vita da una prospettiva diversa, a riconsiderare i nostri preconcetti e ad aprire il cuore all’inclusione e alla diversità.