Cos’è il certificato europeo di filiazione e come contribuirebbe a rendere l’Europa più inclusiva?

Cos’è il certificato europeo di filiazione e come contribuirebbe a rendere l’Europa più inclusiva?

Immaginate una coppia di genitori che, dopo aver fatto numerosi sforzi, sia finalmente riuscita ad ottenere il riconoscimento legale della propria paternità o maternità in Italia. Questo documento, però, non avrebbe alcun valore al di fuori dei confini nazionali. La proposta della Commissione Europea mira a cambiare questo status quo, creando un certificato europeo di filiazione che consentirebbe alle famiglie omogenitoriali di beneficiare dei medesimi diritti in tutti gli Stati membri.

Questa novità porterebbe senz’altro benefici concreti per molte famiglie, ma, come spesso accade, la realtà è più complicata di quanto possa sembrare. In effetti, come accade per molte questioni che coinvolgono l’Unione Europea, la questione dei diritti delle famiglie omogenitoriali si scontra con la complessità delle normative nazionali e con le resistenze di alcuni Stati membri.

Ma anche al di là delle questioni giuridiche, vi è un ulteriore nodo da sciogliere: quello dei pregiudizi e delle discriminazioni che molte famiglie omogenitoriali continuano ad affrontare nella vita di tutti i giorni. Il riconoscimento giuridico è certamente un passo avanti, ma occorre lavorare anche sul piano culturale per garantire a tutte le famiglie pari dignità e rispetto.

E così, ci rendiamo conto che le questioni che riguardano la vita di ogni giorno, anche le più intime e personali, non possono mai essere ridotte semplicemente a norme giuridiche o a decreti burocratici. Esse sono espressione dei valori e delle attitudini di una società, e richiedono un impegno costante e profondo per essere veramente risolte.

Qual è la funzione del certificato europeo di filiazione?

 Secondo il garante per l'infanzia, dunque, il certificato europeo di filiazione non agevolerebbe affatto la

Fin dagli albori della sua creazione, l’Unione Europea si è sempre posta l’obiettivo di tessere una rete invisibile che legasse insieme i destini dei suoi cittadini, garantendo loro la libertà di spostarsi senza ostacoli e tutelando i diritti fondamentali che sono il cuore pulsante della convivenza civile. E in questo intricato intreccio di interessi e diritti, la famiglia rappresenta un nodo cruciale, un’istituzione fondamentale per lo sviluppo e l’evoluzione della società, una sorta di microcosmo in cui si riflettono le dinamiche più ampie del mondo circostante.

Ma se è vero che l’Unione Europea si batte per la libertà di circolazione e per il riconoscimento dei diritti familiari, è altrettanto vero che non tutte le famiglie sono composte allo stesso modo, come un insieme di tessere disuguali che devono pur sempre incastrarsi in un mosaico unico. Ecco allora che sorgono le domande: cosa accade alle famiglie omogenitoriali quando si spostano in un Paese che non riconosce il loro status? Come possono far valere i propri diritti in un contesto che sembra negarli?

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In realtà, l’Unione Europea si è mossa in questa direzione, cercando di gettare ponti tra le diverse realtà giuridiche nazionali, anche quando queste sembrano contrastare tra loro. Infatti, è in discussione una proposta che potrebbe rivoluzionare la condizione delle famiglie omogenitoriali all’interno dell’Unione: la creazione di un certificato che attesti il rapporto di genitorialità, consentendo alle coppie dello stesso sesso di far valere i propri diritti parentali in qualsiasi Paese dell’Unione, indipendentemente dalle diversità normative nazionali.

E qui mi soffermo un attimo, perché non posso fare a meno di pensare ai meccanismi sottili e complessi che regolano la convivenza tra stati sovrani, alla fatica delle famiglie di sentirsi riconosciute e tutelate in un contesto così variegato. La vita di ogni giorno si intreccia con la vita politica, e le decisioni che si prendono a Bruxelles o nei palazzi del potere nazionale hanno un impatto tangibile sulle vite di molti.

Ma torniamo al certificato di genitorialità. Questo documento, se approvato, potrebbe rappresentare un passo avanti significativo verso la costruzione di un’Europa più inclusiva e tollerante, in cui le famiglie omogenitoriali possano trovare un riconoscimento trasversale, al di là delle frontiere e delle convenzioni. Ma è anche vero che, come sempre accade in queste vicende, il cammino verso l’approvazione è lungo e accidentato, e non mancheranno ostacoli e resistenze lungo la strada.

E così ci ritroviamo, come in una partita a scacchi in cui ogni mossa deve essere ponderata con cura, a chiederci quale sarà l’esito di questa partita. E intanto, le famiglie omogenitoriali continuano a vivere le loro vite, con le loro sfide e le loro gioie, nella speranza di trovare un terreno più fertile su cui far radicare il loro amore e la loro genitorialità, al di là dei confini e delle normative che sembrano dividerle. E la vita, intanto, prosegue il suo eterno movimento, sempre in cerca di nuove strade da percorrere.

L’obiettivo principale è la tutela dell’interesse dei figli e la salvaguardia del loro benessere

Anche se questa pratica è legale in altri paesi, il timore dei conservatori è che il

In tal senso, le nuove regole europee mirano a facilitare la libera circolazione delle decisioni in materia di affidamento, adozione e responsabilità genitoriale tra i diversi Paesi dell’Unione, al fine di evitare lunghe e complesse procedure burocratiche e garantire ai minori la possibilità di crescere in un contesto familiare stabile e amorevole, indipendentemente dai confini nazionali.

Ma sarà davvero possibile garantire il best interest of the children attraverso regole e leggi? Ogni decisione, per quanto codificata giuridicamente, rischia sempre di essere influenzata da situazioni specifiche, emozioni, contesti culturali e sociali. Il vero interesse del bambino dipenderà sempre dalla capacità di chi lo circonda di comprendere e ascoltare le sue esigenze, di crearne intorno un ambiente positivo e protettivo.

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Sarà dunque fondamentale non dimenticare che, al di là delle regole e delle normative, la vita di un bambino dipende soprattutto dall’amore, dall’attenzione e dalla cura che riceve da chi gli è vicino. Solo in questo modo si potrà davvero garantire il suo migliore interesse, al di là dei confini giuridici e nazionali.

Quali sarebbero i cambiamenti in Italia?

Le disposizioni dell'Unione Europea, come nodi in una rete che unisce e separa, non possono interferire

Nel tessuto normativo che regola la vita delle nazioni europee, come nei racconti di viaggio in cui si descrivono le usanze e le leggi di popoli lontani, si insinua il dibattito sulla filiazione e il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali. Le disposizioni dell’Unione Europea, come nodi in una rete che unisce e separa, non possono interferire con le leggi interne di ciascuno Stato, mantenendo intatta la competenza esclusiva degli apparati nazionali in materia di diritto di famiglia.

Ma anche se si dovesse assistere all’adozione di un regolamento europeo in materia, sarebbero i genitori già riconosciuti nel proprio paese a trarre vantaggio da questa nuova forma di tutela. In Italia, tuttavia, la mancanza di una legge per il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali continua a escludere migliaia di madri e padri, lasciando spazio a un vuoto giuridico che pesa sulle famiglie interessate.

Si potrebbe pensare che l’introduzione di questa norma offra uno sbocco per chi desidera ricorrere a stratagemmi legali, ma sarebbe comunque un’ennesima complicazione, imponendo alle famiglie interessate ulteriori sforzi burocratici, logistici ed economici.

Nonostante i suoi limiti, questa novità potrebbe contribuire a migliorare le condizioni delle famiglie con genitori dello stesso sesso a livello internazionale, mettendo in difficoltà Paesi come l’Italia, che si trovano in ritardo rispetto ai numerosi inviti a riformare le leggi in favore delle famiglie LGBTQIA.

Sull’argomento si è espressa anche la presidente dell’associazione Famiglie Arcobaleno, Alessia Crocini, evidenziando l’importanza di riconoscere le famiglie omogenitoriali al di là dei confini nazionali, soprattutto in un’Europa che vuole dirsi unita e civile. La lotta per il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali diventa, così come nei romanzi avventurosi, una battaglia contro le discriminazioni e per l’affermazione dei diritti essenziali.

Qual è l’opinione dell’Italia riguardo a ciò?

Quanto discussi dal Parlamento Europeo sarà ora oggetto di una valutazione da parte dei singoli Paesi, i quali dovranno decidere se accettare o meno la proposta dell’Unione Europea.

In Italia, tuttavia, le voci contrarie alla questione si sono già alzate dal centro-destra. Il 22 febbraio scorso, 11 rappresentanti di Lega e Fratelli d’Italia appartenenti ai gruppi conservatori europei hanno avanzato una richiesta di chiarimenti alla Commissione Europea, sollevando alcune perplessità sui temi chiave del nuovo regolamento.

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“Liberare la circolazione dei minori con i propri genitori nell’UE è sicuramente importante – si legge nel documento – ma la proposta rischia di mettere a rischio principi come la sussidiarietà e la proporzionalità, con il pericolo di influenzare direttamente o indirettamente la legge sulla genitorialità di ciascuno Stato membro e quindi sulla famiglia, senza che l’UE abbia alcuna competenza in questo campo”.

La richiesta di chiarimenti riguarda l’incidenza giuridica dei casi di mancato riconoscimento transfrontaliero della genitorialità nell’UE e le misure previste per proteggere gli Stati membri che vietano l’utero in affitto. Anche se questa pratica è legale in altri paesi, il timore dei conservatori è che il nuovo certificato europeo possa aprire la strada a forme di maternità surrogata, omogenitorialità e potenzialmente anche multigenitorialità.

Ma il 7 marzo è intervenuta nel merito Carla Garlatti, Garante per l’infanzia e l’adolescenza, convocata dalla Commissione politiche dell’Unione europea del Senato.

“La proposta di Regolamento europeo non riguarda il diritto di famiglia interno, che rimane di competenza esclusiva dello Stato italiano”, sottolinea Garlatti. “Si occupa invece di stabilire le norme per l’accertamento e il riconoscimento della filiazione a livello transnazionale, nel rispetto della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, con la priorità assoluta all’interesse del minore”.

Secondo il garante per l’infanzia, dunque, il certificato europeo di filiazione non agevolerebbe affatto la pratica della maternità surrogata, perché non comporterebbe un riconoscimento automatico della genitorialità, contrario alla legge italiana per entrambi i tipi di coppie.

“Il Regolamento non si discosta da quanto affermato dalla giurisprudenza interna, compresa quella costituzionale, per garantire la tutela del minore nato da maternità surrogata”, conclude Garlatti, sottolineando che le scelte dei genitori non devono ricadere sul minore.